Il fronte dei sindaci si spacca sulla sanità
Luci e ombre nella riforma sanitaria secondo i sindaci, ascoltati ieri in Commissione. Se, come sottolineato dall'assessore Maria Sandra Telesca, in sede di Consiglio delle Autonomie locali il ddl della giunta ha ottenuto 15 voti favorevoli e 3 astensioni, l'audizione di ieri ha fatto emergere, accanto ai punti di condivisione, alcune perplessità e preoccupazioni di carattere politico (i dubbi sono arrivati perlopiù da sindaci di centrodestra), ma soprattutto di stampo territoriale. Il presidente del Cal, Ettore Romoli, ha a sua volta ricordato la «votazione semiplebiscitaria» dell'assemblea da lui presieduta, riconoscendo che «il provvedimento ha dei meriti e va portato avanti, essendo l'ultima riforma di 20 anni fa».
Ma le preoccupazioni, per Romoli, non mancano e sono soprattutto «di carattere economico». «Si doveva avere più coraggio nell'affrontare certi nodi, in particolari i doppioni presenti nel sistema - afferma -, e invece ci si limita a considerazioni filosofiche e i risparmi sono quelli che sono. Tra qualche anno torneremo qua a discutere delle stesse cose». Inevitabili le rivendicazioni territoriali del sindaco di Gorizia: «La nostra città ha subito un trattamento vergognoso, con la chiusura del punto nascita, prima ancora del disegno di legge, fatta per salvare altre realtà ugualmente compromesse».
Perplessità dall'Isontino e dalla Bassa friulana arrivano soprattutto sull'Azienda Sanitaria che accorpa le due Ass attualmente esistenti. Una scelta, afferma l'assessore goriziana Silvana Romano, «avvenuta senza un confronto con i sindaci dei 56 Comuni presenti». Per il sindaco di Latisana, Salvatore Benigno, «in questa Azienda finiscono realtà lontane e diverse, con la contraddizione di avere gli ospedali di Monfalcone e Gorizia che fanno riferimento all'hub di Trieste mentre Latisana e Palmanova si rapportano con Udine». Stefano Balloch, sindaco di Cividale, invita «a tutelare le strutture minori già integrate con gli ospedali principali come avviene tra Cividale e Udine, altrimenti il rischio è di depaupere i servizi essenziali».
L'assessore Telesca, in un incontro proprio con i sindaci del Cividalese, ha rassicurato su questo aspetto: «In ospedali come quello di Cividale, che in effetti hanno subito una progressiva perdita di identità, vogliamo dare molte più funzioni: diagnostica, specialistica, Centro di assistenza primaria con continuità assistenziale. Capisco le preoccupazioni dei cittadini, dei lavoratori e degli amministratori locali ma posso tranquillizzarli affermando che l'ospedale ritornerà ad avere un ruolo centrale e sarà dotato di quei servizi che oggi invece non riesce a garantire».
Preoccupato per il destino dell'ospedale di Gemona, il sindaco Paolo Urbani: «Alcune strutture vengono salvate, altre affossate. Bisogna partire dalle esigenze dei territori e non dai numeri degli ospedali. E per diminuire i costi occorre eliminare i doppioni dei due atenei invece di includere la sanità territoriale nelle Aziende ospedaliero-universitarie, appesantendo strutture già pesanti».
Giudizi positivi arrivano invece da Federsanità Anci e dagli amministratori di centrosinistra (la vicesindaco di Trieste Fabiana Martini, il sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti e l'assessore di Udine Simona Liguori). Le raccomandazioni che arrivano da chi guarda con favore al testo della riforma è di calibrare bene la tempistica di attuazione, evitando il rischio di vuoti ai servizi, e di collegarla alla riforma degli enti locali, mantenendo la corrispondenza tra distretti e ambiti. L'assessore monfalconese, Cristiana Morsolin, ha inoltre sottolineato la necessità di un'applicazione graduale sul fronte delle politiche sociali, «settore in questo momento molto fragile e con il rischio di essere impreparato a sostenere questa riforma».
Oggi altra giornata di audizioni: al mattino tocca alle Università e ai direttori generali, nel pomeriggio saranno ascoltati i rappresentanti del privato.
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