Il fai-da-te della genetica diventa un business
TRIESTE Era il 2006 quando Anne Wojcicki, al tempo moglie di Sergey Brin, fondatore di Google, creava 23andMe, un'azienda che non ha smesso di far parlare di sé negli ultimi dieci anni. Situata a Mountain View, in piena Silicon Valley, 23andMe era il prototipo delle aziende direct-to-consumer (Dtc), che offrivano servizi genetici senza intermediazione medica: con un po' di saliva in una provetta e una carta di credito in internet, in pochi giorni chiunque poteva sapere quali fossero le variazioni genetiche che caratterizzavano il proprio Dna.
Ma all'interno di 240 informazioni curiose ma futili, quali il colore dei capelli, la dipendenza dalla nicotina, la misura dell'intelligenza o la memoria, 23andMe spacciava anche una serie di test genetici per malattie importanti, senza possedere i requisiti medici per farlo. Nel 2013, la Fda impose lo stop a questi test, costringendo l'azienda a ripiegare su finalità di interesse non medico, quale quella di comprendere la storia genetica dei propri antenati, un test che ancora oggi viene venduto a soli 99 dollari.
Il rapporto tra 23andMe e la Fda è però ora cambiato: è della scorsa settimana la notizia che l'agenzia statunitense alla fine ha ufficialmente autorizzato una batteria di 10 test genetici veri e propri, che comprendono anche quelli per alcune malattie importanti, tra cui l'Alzheimer, il Parkinson e la celiachia. Se i genetisti medici continuano a essere preoccupati di questo trend del fai-da-te genetico, 23andMe invece esulta e fa ora bella mostra di sé anche negli spot televisivi per il grande pubblico americano.
Ma secondo molti il vero business dell'azienda non è soltanto la vendita del servizio genetico individuale. Raccogliendo informazioni sul Dna di molte centinaia di migliaia di individui, i database delle aziende Dtc inevitabilmente suscitano l'attenzione delle grandi case farmaceutiche, interessate alla varietà genetica della popolazione per lo sviluppo di farmaci personalizzati. Di fatto, 23andMe ha già firmato un accordo di 60 milioni di dollari con la Genentech, una delle principali aziende biotec della California, per concedere a quest'ultima di accedere alle informazioni genetiche dei propri clienti.
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