Il dramma di Laura ed Emanuele, entrambi lavorano alla Wärtsilä di Trieste: «La nostra famiglia a rischio»

Laura ed Emanuele, genitori di due bimbi di 5 e 10 anni, lavorano entrambi a Bagnoli. Ora potrebbero perdere tutto. «In gioco non c’è solo la busta paga ma un pezzo della nostra vita»
Laura Tonero
Laura Scarpa ed Emanuele D’Urso
Laura Scarpa ed Emanuele D’Urso

TRIESTE Una famiglia nelle mani di Wärtsilä. È quella composta da Laura Scarpa, dal marito Emanuele D’Urso e dai loro figli di 5 e 10 anni. Quarantun anni lei, 45 lui, sono entrambi dipendenti dell’azienda di Bagnoli della Rosandra. Hanno appreso la notizia dell’annuncio degli esuberi dai colleghi, mentre stavano passando qualche giornata di vacanza con i bambini a Tarvisio. Un sms e il mondo è caduto loro addosso. «Al mattino un messaggio sul cellulare ci ha informato di una riunione convocata d’urgenza. Abbiamo capito subito la gravità della situazione, che poi appunto è stata confermata», raccontano.

Laura proprio oggi festeggia il compleanno. Un compleanno amaro viste le prospettive. Lei ha un contratto part time per riuscire a seguire i bambini. Si occupa di certificazione dei motori. Il suo reparto è tra quelli a rischio. «Mi sento persa - testimonia -. Lavoro in quella fabbrica da quando avevo 25 anni. In questi anni mi sono sposata, sono diventata due volte mamma, sono cresciuta: io non sto rischiando di perdere solo la busta paga, ma una parte della mia vita e l’azienda non può abbandonare tutto e tutti così». La donna assicura di «non aver mai guardato l’orologio sul posto di lavoro, perché amo quello che faccio e ho sempre avuto uno spirito aziendale, come la maggior parte di chi è impegnato in quello stabilimento. Un anno fa ci sono state delle assunzioni, si parlava a breve di altri nuovi ingressi - riferisce -, ma l’apertura di quella nuova fabbrica a Vaasa ci aveva insospettito. Eppure a chi sollevava perplessità, davano del visionario, mentre ora la situazione è peggiore di quanto potessimo immaginare. Ho paura, e - ammette - sono sincera: non mi fido più di nessuno. Per una donna, mamma di due figli, se dovesse chiudersi questa porta, sarà difficile trovare una nuova collocazione».

Laura ricorda che «ogni anno il gruppo Wärtsilä sottopone i dipendenti ad un sondaggio, per capire il grado di soddisfazione dei lavoratori. L’operazione di raccolta dati si era conclusa da pochi mesi: era emersa la preoccupazione dei dipendenti di Trieste per il nuovo stabilimento finlandese. Dall’azienda però si erano affrettati a rassicurarci, e i rumors erano stati classificati come fake news». La lavoratrice ritiene che «la dirigenza locale fosse in buona fede». «Tuttavia ora appare chiaro che, nei piani del gruppo, quanto sta accadendo era programmato già da tempo, dal 2016: hanno iniziato tagliando una falange, ora taglieranno le braccia e poi via via arriveranno a fermare il cuore».

«Quando io e mia moglie abbiamo iniziato a lavorare in quello stabilimento, si contavano circa 1.500 dipendenti, mentre ora sembra siamo meno di mille - sottolinea il marito Gabriele - . Di anno in anno abbiamo visto ridurre il personale, ma ora tocca a noi visto che mia moglie sembra rientrare proprio tra gli esuberi». Emanuele è impegnato nel comparto dedicato ai combustibili alternativi, «in teoria lì non dovremmo essere toccati - valuta - ma, visto come stanno andando le cose, non c’è più sicurezza per nessuno. Anche l’annuncio dei tagli non è stato chiaro, non si è capito con precisione chi vorrebbero lasciare a casa».

Un taglio da 450 dipendenti, «oltre a devastare anche l’indotto - sostiene l’uomo - non consentirà di lavorare in serenità neppure a chi resta, il timore di perdere prima o poi il posto sarà inevitabile. Oltre al dispiacere e alla rabbia per come si è evoluta la situazione, ora per tutti c’è paura per il futuro perché lo stop alla produzione non dipende più dalla professionalità e dal valore aggiunto di una persona, ma da logiche commerciali che vanno ben oltre le capacità del singolo».

La coppia evidenzia come «in questi due anni di pandemia, soprattutto gli operai impegnati in quella produzione che ora Wärtsilä vorrebbe portare via da Trieste, non hanno lavorato come altri in smart working. Sono andati ogni giorno in officina, mettendo a rischio la propria salute, pur di far rispettar le consegne».

Adesso Laura e Emanuele attendono di capire «con maggior chiarezza le intenzioni dell’azienda, sperando in un’inversione di rotta. Cerchiamo di gestire quanto sta accadendo facendoci forza, soprattutto per non togliere il sorriso dal volto dei nostri figli».

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