Il crocevia degli ex aennini Dressi “sposa” Forza Italia
TRIESTE. «Forza Italia può essere il grande partito della destra italiana». «Macché, va costruito un nuovo spazio: europeo, non sudamericano». Sergio Dressi e Roberto Menia sono l’emblema della destra che si divide sul ritorno della creatura di Silvio Berlusconi. Una destra che non guarda necessariamente al ritorno ad Alleanza nazionale, ma ha grande nostalgia di unità. Dressi è il vicecoordinatore del Pdl. Nessuna intenzione di ricandidarsi per quel ruolo, fa sapere, ma anche la convinzione «che non sarà opportuno sostituirci con altri nominati. In quel caso, non lo accetteremo». Una dichiarazione che riassume il modello di partito che Dressi ha in testa. Una forma tradizionale, ma capace di innovarsi con il sistema di scelta delle primarie. «Forza Italia deve nascere secondo regole che non potranno che prevedere l’indizione di congressi comunali, provinciali e regionali, per proseguire poi con le primarie per l’indicazione delle candidature elettorali. In questo modo il centrodestra, senza distinzioni, avrà l’opportunità di rimanere unito». Non fosse così, prosegue Dressi, «avremmo perso l’occasione di far diventare Forza Italia il vero partito della destra in Italia».
Tutto il contrario di quello che pensa un altro esponente storico della destra triestina. «Dovrei vestirmi da mago – dice Menia –. Col cappello in testa andrei poi a ricordare la mia previsione esatta». Il riferimento è alla nota posizione dell’ex sottosegretario del governo Berlusconi, perplesso sin dal giorno del battesimo del Pdl.
Pure sul partito del predellino la valutazione di Dressi e Menia è del resto molto diversa. Per il primo la colpa del rapido tramonto del Pdl «è dovuta alla scelta catastrofica di Fini che, senza altre motivazioni se non personali, ne ha snaturato, andandosene, la ragione d’essere». Per il futurista che lavora da mesi nel cantiere di una nuova destra, invece, «è chi è rimasto nel Pdl, e continuerà ora a rimanere in Fi, a ragionare solo per convenienza. Contrariamente a chi, come me, ha lasciato posti di governo per rispetto della propria storia e della propria coscienza». Menia ribadisce la convinzione che un soggetto, a destra di Berlusconi, «è opportuno, giusto, doveroso che ci sia». E spiega: «Sarebbe banale pensare alla riproposizione di An, ma c’è di sicuro uno spazio politico da occupare. Che cosa nascerà, come e chi sarà il leader sono questioni da risolvere, ma è indubbio che, dopo il lavoro di questi mesi, siamo più vicini al traguardo».
Di certo, non ci dovranno essere primogeniture. Non per esempio quella di Giorgia Meloni e dei Fratelli d’Italia. «Ognuno tira l’acqua al suo mulino – osserva Menia –, ma l’unificazione della destra deve giungere per volontà corale, non per annessione, e deve essere carica del significato della novità, non della nostalgia. Perché alla politica italiana serve una destra non populista, privatistica, sudamericana, ma nobile, moderna, europea». I Fratelli d’Italia, peraltro, sono attivi anche in regione. Alessandro Ciriani, presidente della Provincia di Pordenone, già candida il movimento «a essere quello che il Pdl non ha saputo essere». E cioè «anima innovatrice che raccoglie non solo gli ex An ma tutti i delusi che oggi fanno parte del partito dell’astensione». Quanto al ritorno Fi, nessun dubbio: «Non basta cambiare il nome per dare sostanza. Il maquillage non servirà». Ciò che manca al centrodestra, dice ancora Ciriani, «è il ricambio di uomini e idee». Berlusconi? Se per Dressi, resta «l’unico leader possibile perché se l’è conquistato sul campo», Ciriani ne critica «il voler polarizzare tutto su di sé, negando spazi a una nuova classe dirigente».
Vista da La Destra, infine, la rinascita di Fi «non potrà riportare indietro l’orologio della storia», afferma Franco Baritussio. L’ex consigliere regionale è pure convinto che «per quanto manchi ancora il leader, il cantiere produrrà inevitabilmente una forza che rappresenterà i valori cui si è sempre ispirato il mondo della destra democratica, popolare e sociale».
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