Il corpo della donna trovato nel bagagliaio: nessun segno di violenza

Si chiamava Marilisa Sardelli, 64 anni. Aveva addosso le chiavi dell'auto. Vestiva abiti invernali. Resta ancora da chiarire come mai il rinvenimento sia avvenuto così tardi

GRADO Si chiamava Marilisa Sardelli, nata il 3 giugno del 1955 a Soave in provincia di Verona ma residente a San Giovanni al Natisone (questo il nome riportato sulla patente di guida che aveva addosso), la donna trovata l’altro pomeriggio cadavere nel bagagliaio della Volvo famigliare di cui era anche la proprietaria.

Molti interrogativi sono tuttavia ancora aperti attorno a questo decesso. La prima considerazione riguarda lo stato del corpo che era già in gran parte mummificato: ciò significa che il corpo senza vita della donna si trovava nel bagagliaio da diversi giorni.



Che Marilisa Sardelli si trovasse da tempo all’interno dell’autovettura parcheggiata nei pressi dell’ingresso numero 8 della spiaggia, quello tra Città Giardino e Sacca dei Moreri, lo si era capito subito dopo l’allarme dato da un passante: al di là dello sgradevole odore, all’interno della vettura erano state notate diverse mosche.



La domanda che tutti si pongono è come mai il cadavere si trovasse rinchiuso nel bagagliaio. L’ipotesi che è stata fatta l’altra sera, è che la donna si possa essere imbottita di farmaci e si sia chiusa da sola all’interno del bagagliaio.

Una prova a sostenere questa tesi è che le chiavi della macchina le aveva proprio la donna che ha presumibilmente attivato dall’interno la chiusura elettronica della vettura.

Quanto al riconoscimento della donna la figlia che ha raggiunto verso sera Grado non se l’è sentita di vedere da vicino il volto della mamma pressoché mummificato.

Ha tuttavia riconosciuto sia l’autovettura e sia gli abiti. C’è poi, in ogni caso, anche la patente di guida della donna che avvalora il riconoscimento. Del resto la donna s’era allontanata da casa un paio di mesi fa e a dare l’allarme per la scomparsa era stata proprio la figlia. Lunedì sera alla cappella mortuaria dell’ospedale di Monfalcone dove è stata trasportato il cadavere della donna, c’è stato un primo esame più attento del corpo ma l’ispezione cadaverica vera e propria deve ancora essere fatta così come sarà sicuramente disposta dal magistrato della Procura della Repubblica di Gorizia, dottoressa Ilaria Iozzi, anche l’effettuazione dell’autopsia per accertare le cause del decesso.

La donna indossava un giubbotto marrone con cappuccio, un maglione di lana sull’azzurro e un paio di pantaloni blu. Ai piedi indossava degli scarponcini da montagna.

Tutto vestiario non propriamente estivo il che fa emergere l’ipotesi che le giornate precedenti prima di arrivare a Grado la donna le avesse trascorse in montagna o comunque in collina o in ogni caso in zone ricche di vegetazione che si possono trovare a breve distanza da San Giovanni al Natisone.

C’è inoltre da tener presente che le temperature decisamente più basse rispetto a quelle estive del primo maggio, a Grado sono iniziate a partire 3 maggio. Ma alla sera ha sempre fatto più fresco e il dover indossare un giubbotto ci stava sicuramente.

Da precisare ancora che a un primo esame non c’è alcun segno che può far pensare a colpi o a violenze.

Tutto l’abbigliamento indossato regolarmente. Insomma l’ipotesi suicidio appare indubbiamente quella più verosimile.

Sulla datazione del decesso a una prima ipotesi sembra si faccia a ogni modo riferimento ad almeno 15-20 giorni prima del ritrovamento del cadavere. L’autovettura della donna, la Volvo famigliare, dopo i primi esami effettuati a Grado, è stata posta sotto sequestro e si trova a Villesse. —


 

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