Il Comune rifiuta l’eredità della vedova di Cergoly

Ce li ricorda una scomoda eredità finita in pubblico. Lui era un gatto sornione, lei l’elemento pratico. Lui scherzoso col cravattino. Lei col vocione basso. Lui fantasioso, non per niente aveva cominciato da futurista col soprannome di “Sempresù”. Lei lo riportava in terra. Lui scriveva poesie e romanzi, lei pensava al resto. Lui dava interviste, raccontando di come da bambino avesse conosciuto Joyce, lei apriva la porta. Lui è morto nel 1987 e lei gli è sopravvissuta per 24 anni. Lidia Brattoli Cergoly Serini, moglie di Carolus, l’autore del famoso “Il complesso dell’imperatore” che dopo lunga carriera lo lanciò come scrittore “mitteleuropeo” nel 1979 con Mondadori, è morta nel dicembre dello scorso anno e, senza eredi, ha deciso di lasciare quasi ogni bene al Comune. Come si faceva una volta, come usavano i ricchi e i nobili (e Carolus Luigi Cergoly Serini aveva sangue di conte nelle vene).
L’altro giorno la Giunta comunale ha rifiutato l’eredità. Voto palese, voto unanime. Il sindaco Roberto Cosolini aveva spiegato i motivi. Che sono così destinati a rendere tristemente nota la situazione: nel conto corrente di cui il Comune ha preso visione sulla base di due atti testamentari depositati dalla vedova a un notaio nel 2004 e nel 2009, ci sono 2 mila euro e pochi spiccioli in più. «Non è noto il valore - dice la delibera - dei beni eventualmente custoditi nella cassetta di sicurezza, viceversa a peso dell’eredità risultano alcune passività già note quali spese di pubblicazione del testamento e spese funerarie (già sostenute), spese d’inventario in caso di accettazione dell’eredità, spese utenze...».
La vedova Cergoly inoltre, si ricorda, «ha disposto dell’immobile di sua proprietà», quell’abitazione in via Milano 22 dove la coppia aveva sempre vissuto, al piano non troppo alto di un palazzo moderno. Lidia (che si è spenta sfiorando i 100 anni, era infatti nata nel 1912), attraverso due testamenti, non solo ha nominato il Comune “erede universale”, ma ha anche istituito vari legati «a favore di privati ed enti assistenziali e culturali».
Ma non basta ancora. Le carte dicono anche altro. «Recentemente è emersa la concreta possibilità di dover affrontare dei contenziosi per questioni attinenti a pregressi rapporti di lavoro - recita sempre la delibera della Giunta -, asseritamente intrattenuti dalla defunta, come risulta dalle note trasmesse da uno studio legale e da un patronato».
Morale della favola. Le amministrazioni pubbliche indicate come eredi testamentari hanno il dovere di soppesare i beni di cui dovrebbero entrare in possesso. Se risultano utili ai fini delle casse pubbliche, ringraziano e incassano. Se viceversa si dimostra che l’altrui gesto generoso comporta problemi e spese, hanno non solo facoltà, ma dovere di non accettare, e di formulare quindi formale atto di rinuncia.
Ed è quello che ha fatto il Comune, notando che si sarebbe trovato nella scomoda e impropria posizione di ereditare pure delle cause di lavoro postume. E tuttavia in premessa ricordando di Carolus L. Cergoly la forte (anche se ormai molto dimenticata) fisionomia culturale: «Cittadino illustre in quanto poeta, scrittore e giornalista, gallerista, autore di scritti e articoli teatrali e cinematografici, nonché bozzettista e regista di commedie da lui dirette e allestite, nato e vissuto a Trieste».
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