Il Comune di Trieste offre casa all’Impact Hub

Cosolini incontrerà società e giovani imprenditori. Tra le ipotesi la palazzina di Corso Cavour destinata agli under 35
Di Giampaolo Sarti

The Impact Hub, lo spazio di co-working per la piccola imprenditoria che sta per chiudere in Cavana, potrebbe presto riaprire altrove. Tra le ipotesi, la palazzina di Corso Cavour che il Comune ha acquisito in seguito alla sdemanializzazione del Porto Vecchio. Una sede, questa, che nei piani del sindaco Roberto Cosolini sarà comunque impiegata a favore delle imprese, soprattutto under 35, specializzate nel digitale. Un modo per raddrizzare il trend di progetti ed esperienze giovanili che, come si è visto in tempi recenti con Etnoblog, non gode di grande fortuna nel capoluogo.

Cosolini intende occuparsi personalmente della vicenda incontrando già lunedì prossimo i responsabili e, nei giorni successivi, i professionisti che finora hanno usufruito dei servizi con una certa continuità. «Si stanno valutando varie possibilità - spiega il sindaco - ma serve un luogo adatto. L’obiettivo che mi sono posto è favorire, il prima possibile, la ripresa di un tale attività particolarmente utile e apprezzata dai cittadini più giovani della città. Anche per averlo frequentato in prima persona, so quanto quello spazio sia stato importante per la nascita di nuove società, per giovani professionisti, per gruppi di lavoro e per iniziative di comitati e associazioni. E so che sono state tante le idee che quello spazio ha contribuito ad avviare e sviluppare. Per questo ritengo che il Comune debba adoperarsi direttamente affinché un servizio di questo tipo siano nuovamente a disposizione dei giovani, anche in luoghi di cui stiamo valutando, proprio di questi tempi, la destinazione d’uso».

L’annuncio dello stop all’attività in via Cavana era stato reso noto a malincuore, dopo mesi di voci e smentite, da un comunicato ufficiale diramato l’altro ieri da Stefania Quaini, amministratore delegato e presidente della The Impact Hub Trieste Group. Sono i costi di affitto ad aver spinto il management ad abbassare le serrande. «A tre anni dall’avvio - scriveva Quaini - abbiamo scelto di modificare le attività, togliendo quanto rappresentava un forte elemento di costo e non permetteva di concentrarci su quella che, sin dall’inizio, avevamo considerato la nostra missione primaria: essere al fianco dei progetti, dei professionisti e delle aziende innovative. La gestione del co-working, infatti, non ha permesso di aggiungere l’atteso valore al progetto».

Una scelta sofferta soprattutto per le decine di imprenditori che in tutti questi anni avevano usufruito di uno postazione lavorativa con internet, stampanti e bollette pagate, oltre al pacchetto di servizi per lo sviluppo di progetti professionali. The Impact Hub, in attesa di una nuova casa, si concentrerà sul proprio futuro, con altre idee e prospettive. «Cambiare strategia è necessario per tornare ad essere competitivi, rivedendo un bilancio che risente in maniera eccessiva dei costi di gestione degli spazi - affermava il comunicato - una scelta che non ci rende felici ma risulta inevitabile. L’intenzione è di tornare con un nuovo modello più efficiente».

Un problema di affitti, insomma, su cui il proprietario dell’immobile di via Cavana chiede però di fare chiarezza. È Alessandro Beltrame, amministratore della 3 Est: i pagamenti pattuiti, stando alla sua versione, non sono stati rispettati. «Quello di Impact Hub mi pareva un progetto positivo ed è per questo che ho sottoscritto un contratto estremamente favorevole per loro. Il primo anno la società è stata accolta gratuitamente - ripercorre il proprietario - mentre il secondo era previsto il 5% del canone, così come concordato assieme proprio per aiutare la fase di start up. Poi si è saliti al 20% - puntualizza Beltrame - mentre l’anno successivo, sempre secondo contratto, si doveva passare al 90%. Ma non hanno pagato nulla. Allora il problema non è il costo dell’affitto, scontato fino a quel livello sulla base del valore di mercato dei locali della zona, ma il mancato rispetto di quanto pattuito. Io pago leasing e mutui, sono spese che devo coprire. Forse chi ha preso in mano il progetto ha fatto il passo più lungo della gamba: la questione non è l’affitto ma il business che non funziona. Io volevo bene a questa cosa e fintanto che è stato possibile li ho appoggiati. Ma avrebbero dovuto sfilarsi in silenzio. Perché questa è una sconfitta per me, per loro, per la città».

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