IL COMMENTO: Quella bufera romana che ci rende meno “speciali”

La grande fuga dai seggi: non c’è più interesse locale che tenga, né basta la consapevolezza di poter incidere su settori “vicini”

di MARCO PACINI

Chi pagherà il prezzo più alto del crollo verticale dell’affluenza alle urne lo sapremo tra poche ore, anche se il principale indiziato è il centrosinistra. Ma fin d’ora - e nella verosimile ipotesi che il trend non sarà sovvertito - si possono misurare “sul campo”, e non più solo in rete, gli effetti di uno spettacolo politico che mai come oggi ha assunto i toni di una sorta di psicodramma collettivo.

L’addio alle urne degli elettori del Friuli Venezia Giulia testimonia che dopo la brutta partita del Quirinale - ultimo capitolo di una stagione già pesantemente “segnata” - la disaffezione del cittadino-elettore ha raggiunto una virulenza tale da spazzare via persino l’idea di prossimità che accompagna l’elezione di un sindaco e quella di autonomia che dovrebbe accompagnare la scelta di un governatore in una regione speciale.

Non c’è interesse locale che tenga, nè basta a frenare la grande fuga dai seggi la consapevolezza che in questa regione la scelta di un governo significa ancora (nonostante l’erosione progressiva di pezzi di specialità effettiva degli ultimi decenni) incidere con il proprio voto sulle politiche che riguardano settori “vicini” al cittadino, come la sanità e la pianificazione territoriale, per esempio. Settori in cui la specialità del Friuli Venezia Giulia (la potestà primaria) ha ancora significato.

Questi argomenti non bastano: la “scena madre” ha inghiottito tutto, rendendo la parola autonomia niente più che un simulacro per i cittadini che potrebbero beneficiarne attraverso la scelta dei suoi gestori e la marcatura più stretta degli stessi consentita dalla vicinanza tra elettori ed eletti in una regione di un milione e 200 mila abitanti. Certo, il finale di questa legislatura regionale, tra batterie di pentole e gomme da neve pagate con i soldi pubblici, poteva lasciare presagire qualche smottamento. Ma non delle dimensioni che si stanno profilando. E che se saranno confermate alla chiusura dei seggi allargheranno lo spettro semantico del giudizio “tutti uguali” rivolto la classe politica: da quello politico-morale a quello geografico. La politica che per anni ha inseguito il decentramento delle decisioni, delle tutele di interessi territoriali, sulla base di argomentazioni razionali, come in un big bang all’incontrario implode in un centro emotivo che si riassume nella parola rifiuto.

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