Il collaboratore? Cavallo da fiacre dentro i giornali
Vive male; scrive come vive ed uno de’ suoi più grandi consumi è quello della suola degli stivali.
È quello della suola degli stivali, perchè, non avendo impiego determinato e stipendio fisso, è costretto a correre ogni santo giorno di giornale in giornale, proferendo, come merciaiuolo girovago, il prodotto delle sue facoltà intellettuali.
Il collaboratore avventizio è raramente giovane. I giovani trovano sempre facilmente da collocarsi. La gioventù è un grimaldello, che forza tutte le serrature.Per lo meno, ha varcato la quarantina. Nel suo passato c’è un po’ di tutto: fu giornalista vero; redattore capo, magari direttore di giornale; fu letterato a tempo perso, o tale si credette; fu impiegato industriale, viaggiatore di commercio, progettista fallito di sa Iddio quante mirifiche speculazioni, artista drammatico, o, forse, suggeritore di compagnie; ma non riuscì mai a crearsi una situazione.
Molti ne accusano il suo carattere pretensioso, astioso, bizzoso; altri dicono che gli manca quella droga che sta al talento come il sale alle vivande, torna a dire: il criterio; altri, più severi e recisi, gli contrastano anche quel po’ di talento.
Crudeli! Ma, se lo private pure di questo, cosa gli rimane?
Guardatelo per via. Ha un gamurrino rivoltato, il cui nero originario si smarrisce tra le spelature de gomiti, il viscido del colletto e il reticolato delle costure o il solino e i manichetti a filacciche; il cappello ispido come gatto impaurito, e dai riflessi iridescenti, come collo di piccion torraiolo; i pantaloni pallidi e rarefatti su le ginocchia e smangiati su i talloni, e le scarpe screpolanti e scalcagnate. Sotto l’ascella tiene sempre un fascetto di cartelline: sono gli articoli. E cammina sollecito, affacendato, come corresse sempre a salvare la patria. Di lontano, ha dell’usciere: da vicino del disperato; e lo è.
Il pover’uomo è una specie di piccola enciclopedia tascabile; nessun soggetto lo sgomenta; tratta una questione di diritto internazionale, con la medesima indifferenza con la quale ne tratterebbe una d’arte, di letteratura, di scienza occulta, magari di teologia.
Alloggia in una stanzuccia ammobigliata di quarto piano, su ne’ quartieri alti, per spender meno, dove, oltre il letto, il canterale, un piccolo armadio, quattro sedie e un tavolinuccio, non ha altre suppellettili se non carta, penna e calamaio e i due volumi di Marco Napoleone Bouillet: Dictionnaire universel d’histoire et géographie e Dictionnaire universel d’arts, sciences et lettres. Quelli sono la sua legge e i suoi profeti. Quando un direttore di giornale gli dice: “Sa, il 12 corrente ricorre il secondo anniversario della liberazione di Vienna...” oppure: “S’è inaugurata a Puy. in Francia, la statua del generale Lafayette...” oppure ancora: “Sta per venire sul tappeto la questione del riordinamento degli studi; ed ella dovrebbe far due parole...” tsitt! egli corre difilato a casa: scartabella i suoi due volumi; impasticcia su, nove o dieci cartelline di dati, di citazioni, di roba vecchia come i chiodi e... ha guadagnato la sua giornata.
Ma, il suo forte sono i bozzetti... anzi: i bozzetti sono una sua invenzione brevettata e privilegiata.
Tipo giornalistico per eccellenza, leggicchiando perpetuamente effemeridi d’ogni maniera, gli riesce facile e comodo oltremodo l’arrestarsi a una ideuccia qualunque e ricamarvi su una decina di pagine di prosa insulsa e inconcludente. I bozzetti hanno questo di vantaggioso: non dicono nulla, non significano nulla, non risolvono nulla e... vanno sempre bene.
Se il giornale politico, per una ragione o per l’altra, non accetta le sue rapsodie bouillettiane su questo o quel grave importante argomento; c’è sempre la suprema risorsa del giornale letterario, il quale accoglierà, senza fallo, il suo bozzetto per pochi soldi.
Insomma, la vita del cavallo da fiacre. Nello stesso modo che è un enciclopedico in lettere e scienze, il collaboratore avventizio è onnicolore in politica. Col proprio riverito nome, e’ non publica se non gli scritti letterari ed artistici, di economia, di lucubrazioni storiche e, segnatamente, i suoi prediletti bozzetti; ma, se gli capita, se il bisogno lo spinge a’ panni più sgarbatamente del solito, eh, allora, sotto l’ale dell’anonimo, si presta anche a scombiccherare la polemica, senza badare troppo pel minuto al colore del giornale, per cui la scrive.
Solamente, allora, invece di due pretende i quattro fiorini: due pel lavoro materiale, due per la transitoria capitolazione con la sua coscienza.
Alcune volte, il collaboratore avventizio è ammogliato e non c’è bisogno d’aggiungere con prole, perchè è noto come la prolificità stia quasi sempre in ragione diretta della miseria.
In questo caso, la situazione di lui, da quella di cavallo da fiacre, si cambia in quella di cavallo da tram.
Senonchè, nel più dei casi, egli ha saputo fare la sua scelta: la moglie è una maestrina patentata, o una strimpellatrice di pianoforte, che dà lezioni a prezzi ridotti: e allora, essendo in due a trascinare il carro della vita, il veicolo gli riesce meno pesante.
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