Il cimitero veneziano restaurato svela la storia di Isola Morosini

Un esempio unico che ricorda, su scala ridotta, le porte di accesso dell’Arsenale Fino al completamento della bonifica negli anni ’30 la zona era povera e avara
Di Laura Blasich
Altran Monfalcone-14.06.2011 Riproduzioni foto d'epoca-Isola Morosinii-Foto di Katia Bonaventura
Altran Monfalcone-14.06.2011 Riproduzioni foto d'epoca-Isola Morosinii-Foto di Katia Bonaventura

SAN CANZIAN D’ISONZO. Il rettilineo si stacca dalla strada per Grado e si infila nella distesa dei campi. In fondo, anticipata dalle cupole di un impianto di biogas di un’azienda agricola e da alcuni ruderi, c'è Isola Morosini, la frazione più defilata di San Canzian d'Isonzo assieme a Terranova, con la chiesa di San Marco evangelista e le case coloniche, alcune recuperate a nuovi fasti. Le costruzioni recenti sono un'eccezione, senza che sia stato scardinato l'ordito del borgo rurale nato dalla colonizzazione veneziana e rimasto fino agli sgoccioli dell'800 nelle mani di una delle famiglie più importanti della Repubblica, i Morosini. Proprietari delle terre e di quanto vi si trovava sopra, che fossero case, bestiame, alberi e, in fondo, anche persone. Da vive e pure da morte, perché il cimitero, come tutto il resto, era dei Morosini, che, dopo l'editto napoleonico di Saint Cloud del 1806, lo spostarono all'esterno del nucleo abitato, dandogli un ingresso che ricorda, su scala ridotta, le porte di accesso dell'Arsenale di Venezia o di Palmanova.

Un esempio unico, quello del cimitero di Isola, com'è singolare la storia del borgo, ricostruita, per iniziativa dell'amministrazione comunale partendo proprio dai lavori di recupero dell'ingresso del camposanto, dai ricercatori della Sezione isontina della Società friulana di archeologia Desirée Dreos e Christian Selleri. Immergendosi negli Archivi di Stato di Udine e Venezia, ma anche nell'archivio parrocchiale di San Canzian d'Isonzo e in quello dell’Ufficio tavolare di Cervignano, i due ricercatori, che hanno presentato lunedì i risultati, parziali, dello studio nella Scuola fioristi Fvg di Isola, sono riusciti a delineare un passato legato a doppio filo alla terra e all'acqua. Perché, fino al completamento della bonifica negli anni '30 dello scorso secolo, Isola fu, a lungo, tale di nome e di fatto, costretta a fare i conti con un ambiente a dir poco avaro, che rendeva durissima la vita ai coloni. Lo raccontano le cause di morte fissate nei registri parrocchiali di Isola, custoditi nell'archivio della parrocchia di San Canzian, e scandagliati da Christian Selleri: c’è l'esito infausto del parto, non una novità per l'inizio dell'800, che uccide a 23 anni Orsola Pischiottin in Bonetig, ma anche la pellagra al terzo stadio, che si porta via Valentino Cecot a 57 anni, ucciso quindi da un'alimentazione insufficiente. Da Isola passa l'epidemia di colera del 1855, ma anche negli anni successivi sono le pessime condizioni igieniche a mietere vittime. Come Maria Trevisan, stroncata a 26 anni dal carbonchio, cioè dal batterio dell'antrace, trasmissibile all'uomo dagli animali infetti. E poi ci sono i morti restituiti dall'Isonzo e che venivano comunque accolti dal cimitero di Isola, che fino a inizio '800 circondava la chiesa di San Marco i cui parroci, come emerso dai documenti, hanno spesso difeso con vigore la propria autonomia, sia da San Canzian sia da Grado. Tant'è che «l'intrusione» del sacerdote di Grado, don Matteo Marocco, che alla Sdobba, raggiunta via acqua, battezzò un neonato di cui celebrò anche il funerale, fu «denunciata» dalla proprietaria di Isola Elisabetta Morosini Gatterburg e dal suo parroco don Pietro Canciani all'arcivescovo di Gorizia il 12 marzo del 1822. «Il parroco era effettivamente suo - spiega Christian Selleri -, perché i sacerdoti di Isola erano nominati e stipendiati dai Morosini».

Una consuetudine durata quasi due secoli e mezzo, perché tanto è durato il dominio dei Morosini, come emerso dal carteggio relativo a una disputa, durata quasi 40 anni, tra la contessa Elisabetta e i nobili che avevano affittato Isola e scovato da Desirée Dreos nell'Archivio di Stato di Udine. Isola, detta anticamente di Petra rubra, pare a causa di un cippo miliare di colore rosso, di «campi 2757» nel 1781, fu confiscata nel 1486 dalla Repubblica di Venezia alla ricerca di legname, risultato però non del tipo adatto. Così, già nel 1549 Isola passa a Marco Malipiero per ducati 9002 e poi, nel 1650, da Costantino Malipiero a Marc'Antonio Morosini. La Repubblica di Venezia scompare, passa anche Napoleone e arrivano gli Asburgo, ma la famiglia ne rimane proprietaria fino al 1884, quando Eleonora Morosini Gatterburg, figlia della tremenda Elisabetta, muore senza eredi. «A quel punto il possesso di Isola - ha spiegato desireée Dreos - si disperde tra una marea di Gatterburg, austriaci, ed Esterházy, la famiglia nobile più ricca d'Ungheria». Tutti troppo distanti e con troppo pochi millesimi per interessarsi a Isola, che viene quindi acquistata dai fratelli Rodolfo e Filippo Brunner di Trieste. Quelli che, sulla spinta dell’industrializzazione del territorio, promossero la realizzazione della piccola centrale idroelettrica lungo la confluenza fra la Mondina nuova e l’Isonzato per alimentare l'idrovora, la comunità e l'azienda agricola.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo