IL CHIRURGO ORA OPERA SENZA TAGLI

MARIANNA BRUSCHI. ITALIA, ANNO 2034
Un filo sottile si colora di un rosso con sfumature viola. Così sottile che lo vedo solo attraverso uno schermo, un’immagine ingrandita. Quel filo sottile scorre nelle cellule. È uno fra i primi marcatori cellulari: mostra la strada al chirurgo. Gli dice cosa togliere. Cosa tenere. Di una cellula. Una dimensione così piccola che nemmeno riusciamo a immaginarla. Il male invece è così grande che quel colore fine che porta via il tumore sembra a tutti noi qui, davanti allo schermo, un miracolo. Vent’anni fa questa immagine portava con sé la parola «futuro».
Chirurgia ad hoc. Ed era così per tutta quella che viene chiamata la “chirurgia personalizzata”. Andrea Pietrabissa, chirurgo e docente dell’università di Pavia, era stato chiamato a fine 2014 a tenere la prolusione per l’apertura dell’anno accademico. Una cerimonia importante in cui il docente aveva ripercorso le tappe della medicina. Dalla prima trapanazione cranica, 12mila anni fa, agli interventi in laparoscopia, quei microfori che avevano sostituito le lunghe cicatrici. Già questa era sembrata magia.
Oggi la rivoluzione è una medicina che cura l’uomo e non solo la sua malattia. Non più procedure standardizzate, ma mirate: si asporta solo ciò che è necessario perché ogni paziente è diverso dall’altro. Il riconoscimento della nostra specificità. Penso a questo nella sala operatoria dove ci hanno portati, noi gruppo di cronisti, per avere un assaggio di quello che oggi negli ospedali si può fare.
Braccia elettroniche. Abbiamo appena lasciato una palazzina di questo centro medico interamente dedicata agli studenti. Oltre alle aule e ai laboratori ospita un centro di simulazione clinica: ci hanno mostrato un simulatore di realtà virtuale e una console come quelle che da anni ormai si usano in sala operatoria. Ce ne sono due: una per il chirurgo esperto, l’altra per chi sta imparando ed è chiamato a intervenire un passo alla volta. Accanto braccia elettroniche riproducono i movimenti delle dita. Nel 2014 erano tremila i sistemi robotici installati negli ospedali di tutto il mondo. Usati ogni anno per 250mila interventi. Oggi sono strumenti molto più diffusi. E in alcune sale operatorie vengono già sostituiti da quella che è chiamata la robotica con sistemi di intelligenza artificiale. I bisturi meccanici del robot operano da soli. Senza il chirurgo a comandarli. Sanno già cosa fare. Operazioni meccaniche, ripetute, sempre uguali.
Non si taglia più. Il medico che ci accompagna nella visita si è fermato davanti alla stanza di una piccola paziente. Si ferma pochi istanti. La bimba si alza la maglietta del pigiama e gioca con la mamma: le chiede dov’è il buchino dell’operazione. Scherzano, ridono. Non c’è. Non c’è perché questa è l’altra magia della medicina di oggi. E già la laparoscopia era sembrata rivoluzionaria. Nel 1986 un chirurgo tedesco asportò la cistifellea di un paziente con tre forellini nell’addome. Nessun taglio. Quasi cinquant’anni dopo il chirurgo non ha più bisogno di fori multipli. Riesce ad accedere dall’ombelico o dalla bocca, non restano cicatrici. Usa strumenti lunghi e flessibili che entrano nel nostro corpo, raggiungono il bersaglio. E da quel filo di metallo si aprono come piccole ali gli strumenti. Il bisturi, le forbici, il filo per la sutura. Vent’anni fa era un prototipo. Veniva mostrato ai convegni accompagnato, anche questo, dalla parola «futuro». Pareva lontano. E invece. Un diametro di poco più di un centimetro per un braccio meccanico capace di evitare ferite profonde.
Oggi si pensa a come rimpicciolirne ulteriormente le dimensioni. L’ultimo laboratorio mostra una tecnologia che mi ha sempre incuriosita: la stanza è occupata da stampanti 3d. Le prime ghiandole erano state stampate intorno al 2020. Oggi su queste macchine, in questo laboratorio, nascono i primi organi.
@mariannabruschi
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