«Il carbone cinese in Bosnia rischia di inquinare fino a Trieste»

L’allarme lanciato da Greenpeace sui fumi delle future centrali di Tuzla e Banovici che potrebbero avere ripercussioni “transnazionali”: un clamoroso rapporto

BELGRADO Non solo potenziali serie conseguenze sulle casse dello Stato a causa di problematici prestiti di Pechino, ma anche gravi effetti sulla salute pubblica, pure a centinaia di chilometri di distanza. Fino a Budapest, Salonicco, ma anche Napoli e Trieste. Sono quelli collegati ai controversi progetti delle future centrali a carbone di Tuzla 7 e Banovici, a distanza di una trentina di km l’una dall’altra, nel cuore della Bosnia, già oggi uno dei Paesi balcanici più inquinati per colpa della lignite. Le cose peggioreranno se si andrà avanti con l’idea del blocco 7 di Tuzla e del nuovo impianto di Banovici, sempre alimentati a carbone.

La denuncia arriva da un rapporto di Greenpeace, che ha studiato sulla base di modelli scientifici l’effetto dei fumi delle future centrali. Centrali che avranno un pesante «impatto sulla salute pubblica» con ripercussioni «transnazionali», si legge nello studio, che ha calcolato in circa mille le morti premature in un decennio – più dell’80% fuori dai confini bosniaci - causate solo da Tuzla e Banovici, in particolare in «Serbia, Italia, Romania, Ungheria e Croazia», ma anche in Albania, Slovenia, Montenegro, oltre a centinaia di casi di recrudescenza d’attacchi d’asma nei bambini, bronchiti croniche, 7.600 giornate di assenza dal lavoro ogni anno.

Fumi delle centrali - come già evidenziato dal recente studio «Chronic Coal Pollution» – che non si arrestano ai confini, viaggiano trasportati dai ventii. Quelli di Tuzla e Banovici, si vede nelle mappe prodotte da Greenpace, arriveranno fino a Budapest, Tirana, Skopje, nella greca Salonicco, ma anche a Zagabria, perfino Napoli e a settentrione in Slovenia e Friuli Venezia Giulia, si evince dalle mappe.

Più “local”, invece, il problema dei depositi di mercurio causati dall’«uso di carbone di bassa qualità», problema che sarà più marcato nelle aree prossime agli impianti, ma anche a Sarajevo e Belgrado. Studio che ha provocato allarme in particolare a Tuzla. «Nessuno ha diritto di uccidere per fare profitto e produrre energia a basso costo», ha denunciato Denis Zisko dell’Ong “Centro per l’ecologia e l’energia”. Basso costo fino a un certo punto.

Dietro a Tuzla 7 (450 MW), ad esempio, c’è un mega-prestito cinese, che dovrebbe coprire l’85% del progetto con una previsione di spesa di 720 milioni di euro, mentre il restante 15% sarà finanziato dall’omologo dell’Enel della Federazione bosgnacco-croata. Anche per Banovici (350 MW, 500 milioni di euro) si è fatta avanti Pechino, con la Dongfang Electric Corporation. Da mesi, il via libera all’investimento di Tuzla però tarda, rallentato dalle beghe politiche a Sarajevo, mentre salgono le denunce sui rischi per l’impennarsi del debito bosniaco verso la Cina, già oggi al 14%. Ma rimane lo smog, odierno e futuro, la maggior fonte di preoccupazione. —


 

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