Il cantiere della terza corsia salva l’antica Rosa Moceniga
GORIZIA. Ci sono grilli, rane, libellule, uccelli che a dispetto dalla loro esigua fisicità hanno la forza evocativa di piegare ai loro diritti ferrovie, insediamenti industriali e autostrade.
A questa schiera di novelli benandanti ecco aggiungersi un fiore: l’antica e misteriosa Rosa Moceniga.
Per preservarla e tutelare il bosco in cui fiorisce da almeno duecentocinquanta anni a questa parte Autovie Venete ha in parte modificato il tracciato del terzo lotto della terza corsia tra Alvisopoli e Gonars. I cui lavori in questo periodo sono entrati nel vivo con le attività del cantiere che corre a fianco dell’infrastruttura, con la realizzazione delle nuove strade poderali a servizio dei fondi agricoli e delle proprietà, con la realizzazione dell'allargamento vero e proprio dell’autostrada, con lo spostamento delle interferenze e con la bonifica da ordigni bellici. Cantiere nel cantiere l’area dove verrà costruito il nuovo ponte sul Tagliamento.
Ed è ad Alvisopoli, in questa splendida città inventata alla fine del Settecento dal visionario conte Alvise Mocenigo, che si nasconde nel fitto del bosco che lambisce l’A4 il tesoro della Rosa Moceniga.
I lavori della terza corsia rischiavano di sfregiare questo piccolo eden, dove crescono piante secolari, irrorato da acqua di risorgiva e popolato da una ricca fauna. Di conseguenza Autovie Venete ha provveduto a mettere in sicurezza il bosco, un tempo rigoglioso e ben curato parco annesso a Villa Mocenigo. «Il roseto del bosco di Alvisopoli - fa sapere Autovie Venete - non ha specie autoctone, ma è importante perché risale al 1700. È in ogni caso un’area protetta in quanto rientra in una zona Sic (Sito di Interesse Comunitario). Per questo, su precisa prescrizione del Cipe, l’allargamento dell’autostrada, che normalmente viene realizzato in modo simmetrico, in quella zona è stato modificato».
La nuova modalità ha previsto lo spostamento più a nord proprio per rispettare l’area boschiva. Autovie Venete ha anche sviluppato uno studio di incidenza sul Sic, dove insiste il bosco.
A diffondere la storia affascinante e intrigante della Rosa Moceniga ci ha pensato, tra gli altri, lo scrittore Andrea di Robilant, discendente del conte Mocenigo. Nel 2014, per Corbaccio, di Robilant ha pubblicato un grazioso volume dal titolo “Sulle tracce di una rosa perduta”. E freschi di lettura del libro, che in parte si presenta come un dotto trattato sulla storia delle rose, numerosi sono stati coloro che si sono addentrati nel bosco di Villa Mocenigo in cerca dell’antica rosa. Non ci si aspetti un roseto esteso, anzi. Per scorgere la Moceniga ci vuole pazienza e scegliere il periodo dell’anno in cui è in fioritura. Al parco si accede solo con le guide brave a indicare la ricchezza del sito al di là della presenza del decantato fiore. Il suo colore è di un rosa quasi metallico, che cambia a seconda della luce che riceve e dello stadio di fioritura; si legge nei siti specializzati che “la disposizione dei suoi petali, la tipologia di foglie e steli, da sempre la catalogano come una bengalese, ovvero una rosa cinese di fine Settecento”. Che sia profumata non è dato sapere al visitatore che si attiene ligio alle raccomandazioni delle guide. La Rosa Moceniga cresce nel fitto di arbusti, protetta da uno steccato che le consente di non essere “accarezzata” da mani maldestre. Di conseguenza, per quanto riguarda il suo profumo, diamo per buono quanto indicato dagli esperti.
Affascinante, si diceva, la storia vera o presunta di questa rosa, per svelare la quale di Robilant ha intrecciato una trama molto avvincente. Proviamo a riassumere. Bisogna partire da Lucietta Memmo, moglie di Alvise Mocenigo, descritta come donna intelligente e colta, vissuta da protagonista nel trambusto napoleonico, amica dell’imperatrice Josèphine, frequentatrice della Malmaison, studiosa al Jardin des Plantes de Paris e allieva del professor Des Fontaines come del grande vivaista Noisette. Dopo la caduta di Napoleone, Lucia partì da Parigi con le carrozze piene di piante e semi per realizzare quel bosco di Alvisopoli poi divenuto oasi Wwf proprio in virtù della sua varietà botanica. Tra le duecento varietà di rose, Lucia portò anche la progenitrice della Moceniga, che ora pare un unicum. Molti esperti si sono occupati di isolare la storia botanica della Moceniga e di confermare l’ipotesi di una così nobiliare provenienza.
Tra gli esperti figura anche Eleonora Garlant, appassionata di rose antiche, proprietaria ad Artegna, di una roseria nota in tutta Europa. Garlant si dedica in particolare alle rose galliche, di cui nell’Ottocento si conoscevano tremila specie, scese oggi a trecento, di cui lei coltiva ben duecentocinquanta esemplari. «La Moceniga" - come lei la chiama - è una bengalese, ma rispetto alla Old Blush ha un petalo in meno».
Rimandiamo al libro di di Robilant la dissertazione sugli intrecci e le provenienze delle rose, fiori che nell’Ottocento sono stati oggetto di vero e proprio contrabbando nei traffici marittimi verso le Indie e la Cina.
Ci teniamo invece il mistero della Rosa Moceniga che in modo efficace sintetizza quella che oggi come trecento anni fa è la sensibilità verso l’ambiente. All’epoca fu il conte Mocenigo a restituire al territorio e alla sua gente parte della ricchezza che quel territorio gli garantiva con i raccolti agricoli. Oggi ecco Autovie Venete raccogliere l’appello e provvedere alla tutela del bosco di Villa Mocenigo e della sua ospite d’onore.
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