Il Canal Grande allungato conquista architetti e web
TRIESTE È la storia che si fa avanti, anzi viene a galla, intrecciandosi ancora una volta con l’architettura e l’urbanistica della Trieste che fu. Il destino di una città, un continuo specchiarsi con il suo passato si direbbe, come suggerisce l’interminabile dibattito attorno al Porto Vecchio. Ma l’idea di allungare il Canal Grande fino alla chiesa di Sant’Antonio e di dire addio a piazzetta e fontana, proprio com’era un tempo, interroga e appassiona.
I cittadini, innanzitutto, che il giornale interpella con un sondaggio web. Alle nove di ieri sera avevano riposto 1.356 cittadini: il 56% è favorevole, il 42% contrario, mentre il 2% non sa. Ci sarà tempo fino a domenica alle 19 per votare con un click.
È la giunta Cosolini ad aver rispolverato dai suoi cassetti l’antico progetto, più volte rivalutato e poi scartato nei decenni scorsi. Il Comune, che lancia un “concorso di idee” per il Canale, è pronto a giocare una nuova scommessa per ridare lustro al centro, ben conscio di stravolgere l’estetica della piazze e le abitudini dei triestini. La proposta piace a chi, come architetti e urbanisti, di vie e borghi ne sanno qualcosa.
Domandare un commento a una come Gigetta Tamaro, ad esempio, è come aprire l’album dei ricordi: «Erano gli anni Ottanta, il sindaco era Richetti, quando se ne parlò seriamente. Io era tra quelli che avevano vinto il concorso finanziato dalla Regione per realizzare l’opera. Il cantiere fu aperto, anche se noi non avevamo previsto uno scavo totale, ma un allestimento tra acqua e pavimentazione con dei pali luminosi a rievocare gli alberi della barche. I lavori erano pure iniziati, però...».
Già, però. È il partito della raccolta firme, fin da allora un’arma piuttosto efficace nel capoluogo (via Mazzini, in tempi moderni, è da manuale), a bloccare tutto. «I negozianti – riprende l’architetto – iniziarono addirittura a lanciare sassi contro gli operai. Temevano si togliessero parcheggi alla zona e Richetti, in difficoltà, cedette. Dovette pure risarcire i danni alla ditta. Oggi si dovrebbe portare avanti un restauro, recuperando i manufatti e la definizione originaria del Canale. Credo proprio che la città ne guadagnerebbe, perché cosa sono quel giardinetto e quella fontana? Non hanno nulla a che vedere con quella zona».
Si tratterebbe di scoperchiare il perimetro interrato davanti alla Chiesa, dal tratto che va da via Filzi fino all’altezza di via Dante e via XXX Ottobre. L’impronta storica, che rimanda indietro di oltre ottant’anni, al 1934. Un’idea suggestiva che affascina uno come Luciano Celli, architetto che conosce la città come le sue tasche. A lui e alle sue équipe si devono la riqualificazione del Viale, lo Stadio Rocco, la ristrutturazione del Rossetti e dell’ex palazzo del Lloyd in Campo Marzio.
«Sono sempre d’accordo di riconsegnare al capoluogo il suo passato: stiamo parlando dell’identità di una città sorta tra il ’700 e l’800 nel periodo neoclassico. All’epoca il Canale passava lungo il Borgo Teresiano per una ragione precisa, estetica e produttiva. In quel modo venivano riforniti i magazzini del Borgo, che a quei tempi si trovavano al piano terra degli edifici circostanti. Un motivo dunque produttivo che è stato trasformato in un dettaglio di grande bellezza per Trieste. L’acqua raggiungeva la chiesa, riflettendo le grandi colonne del pronao. Un particolare fantastico che purtroppo si è perso negli anni. Riportare ora il Canale alle origini è un’operazione innanzitutto archeologica perché nessuno sa bene cosa potremmo trovare là sotto. Sarebbe molto interessante».
L’Ordine degli architetti è pronto a portare il proprio contributo. «Si libererebbe uno spazio che ora non è uno spazio, un luogo che ora non è un luogo”, riflette il presidente Paolo Vrabec. «Quella vasca, quella fontana non hanno nulla a che fare con il Canal Grande». La strada è tracciata e l’assessore ai Lavori pubblici Andrea Dapretto auspica proposte, idee, soluzioni: «Spero solo che il dibattito non diventi un tema di divisione come lo è stato per decenni».
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