Il “campo” di Visco e altre storie di oblio
L’ex dogana austriaca di Nogaredo al Torre del 18° secolo; la villa de Moschettoni di San Vito al Torre del 18° secolo; la chiesa di San Domenico di Aiello risalente agli inizi del 18° secolo; la villa Antonini di Cavenzano addirittura del 16° secolo. E ancora, villa Attems ad Aiello o i resti della Commenda di San Nicolò di Levata di origini medievali. Ma, soprattutto, il campo di concentramento di Visco.
È lungo l’elenco della Via Crucis che nei paesi della Bassa scandisce l’inesorabile e colpevole degrado di cui sono preda edifici di importante evidenza storica.
Una situazione che ha tanti responsabili, anche se le amministrazioni pubbliche sono le prime a “meritare” un posto sullo scranno degli imputati. Non si contano gli appelli puntualmente caduti nel vuoto per cercare di arginare la sparizione di tanti pregevoli testimonianze della nostra storia. Ora che la crisi offre alibi e monda colpe, la speranza di recuperare tali edifici sembra svanire ogni giorno in più.
Ma per fortuna ci sono persone che non si arrendono, sorrette nel loro ardore donchisciottesco dall’amore per la propria terra. Corroborate da studi approfonditi e da una vita di testimonianza culturale. È il caso di Ferruccio Tassin, originario di Visco nel 1944, splendido e generoso storico capace di accendere i riflettori dell’interesse sulle tante memorie della porta accanto.
Suo, tra i tanti altri, il recente libro edito dal centro di ricerca Leopoldo Gasparini, il toccante volume “A scuola di razzismo nella Gorizia in camicia nera”. Suo, edito dalla Società filologica friulana alcuni mesi fa, il vademecum dal titolo emblematico: “Friuli che cade”. Una decina di pagine di dolore nel constatare l’abbandono di tanti edifici della Bassa, dei quali Tassin evidenzia in modo sintetico ma efficace la valenza storica.
Pur se il suo cruccio più spinoso è legato all’abbandono in cui versa il campo di concentramento di Visco, unico campo del regime fascista che dal 1941 al 1943 spense le speranze di oltre quattromila innocenti. Conteso dalla speculazione edilizia (perché agli impresari senza scrupoli non si impone di leggere l’omonimo racconto di Italo Calvino?) e un’amministrazione comunale che, a sentire Tassin, è tra le più tenaci avversarie del recupero del sito, il campo di concentramento di Visco, oltre a quella di Tassin, può contare sulla voce di denuncia di Boris Pahor, da sempre testimone convinto dello scempio che si rischia di perpetrare cancellando il ricordo della struttura. La passione civile che irrora le arterie di Tassin, dotato di una robusta cultura umanistica, lo spinge ora all’ennesima sortita: per domani alle 9 a Visco ha convocato tutti i candidati del Pd al Parlamento. «Vedremo chi verrà», sospira Tassin. Il quale, recentemente intervistato su Radio Rai Regionale ha offerto una toccante riflessione sulla mancanza di una teologia degli animali, lacuna che a lui credente non gli consente di pregare liberamente per l’anima dei suoi gatti. Divagazioni queste fino a un certo punto. La Soprintendenza ha vincolato 70mila metri quadrati dei 120mila sui quali si estendeva il campo. «Dicono che non ha una valenza architettonica - spiega Tassin - ma è una tesi che non sta in piedi. Mica chiamavano gli architetti di fama per disegnare un campo di prigionia. Bisogna andarci dentro e immaginarlo il campo, con le sue vittime, le lacrime disperate dei tanti bambini e delle tante donne che sono stati rinchiusi». Lo stato di degrado dell’ex prigione è un colpo al cuore e le fotografie scattate il 27 gennaio, giorno della Memoria, e pubblicate sul blog di Marco Barone non lasciano adito a dubbi. Quanto agli altri siti segnalati da Tassin che dire? Non si illude il nostro storico il quale però rilancia una considerazione assolutamente condivisibile: «Le sorti di tanta architettura maggiore e minore delle nostre terre dovrebbero, quanto meno, costituire un problema».
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