Il calciatore che morì chiuso in manicomio ma nella cartella clinica era “sano di mente”

Armando Calligaris soffriva di epilessia per colpa di un incidente da bambino. Romans d’Isonzo gli ha intitolato lo stadio

ROMANS D'ISONZO. Non era matto. Oggi che si può finalmente accedere alle cartelle cliniche di chi venne accolto nell’ex ospedale psichiatrico provinciale di Gorizia, emergono delle storie inverosimili e molto toccanti. Come quella che il destino ha riservato ad Armando Calligaris, nato nel 1923 a Romans d’Isonzo, morto per inedia nel nosocomio, all’età di 43 anni, indicato come “sano di mente”.

Era consapevole della sua lucidità mentale, salvo dei momenti bui che hanno attanagliato la sua vita per una vicenda fortuita che gli capitò da bambino. Una storia quasi dimenticata in paese, quella di Armando, promettente calciatore, centravanti mancino, che negli anni Quaranta ha militato nelle file della Pro Romans, assieme a Mario Squarcina, il fondatore delle Frecce tricolori, poi nel Crda Monfalcone, nella Saici Torviscosa e nell’Omegna, tutte in serie C.

Stando alle memorie orali venne pure adocchiato da alcuni club professionistici come la Sampdoria e la Fiorentina, i quali, però, lo scartarono proprio per i postumi ben visibili di quella vicenda fortuita. Successe quando Armando aveva poco meno di 7 anni, un ragazzo sano, nato in una laboriosa famiglia di mezzadri agricoli.

Quel giorno stava giocano nel cortile di una famiglia vicino a casa sua, in via Raccogliano, quando un grosso cane pare volesse aggredirlo. Un adulto vicino a lui, per difenderlo, impugnò una pala, la portò dietro la schiena per mettere paura al cane, senza accorgersi che Armando era alle sue spalle, colpendolo alla testa. Gli procurò un vistoso sfondamento del cranio nella parte destra della regione parietale, sopra l’occhio. Ricoverato in ospedale, superò l’infortunio e visse normalmente, imparando il mestiere di calzolaio.

Nel 1946 venne operato a Padova, poi riprese il lavoro di calzolaio in proprio fino ai primi anni Cinquanta, quando il suo cervello, compresso da quello sfondamento, iniziò a provocargli degli attacchi epilettici, isolati ma capaci di stravolgere il suo comportamento di persona mite, che improvvisamente diventava aggressiva.

Nel 1951 venne ricoverato per la prima volta al psichiatrico di Gorizia, per una decina di giorni, poi ritornò alla vita normale fino nel 1954, quando varcò nuovamente la porta del nosocomio, dove rimase ricoverato per circa tre mesi, quindi fece ritorno a casa ma dopo qualche settimana accusò altre crisi aggressive e venne ricoverato, stavolta per sempre. Passò il resto dei suoi giorni nella disperazione più cupa, insopportabile, da uomo quasi sempre lucido di mente ma prigioniero di quelle crisi epilettiche che lo colpivano inaspettatamente e per le quali rimase recluso fino alla fine dei suoi giorni.

Nei 1963, allo psichiatrico giunse Franco Basaglia, il quale, convinto che Armando potesse guarire e ritornare una persona libera, l’anno dopo lo inviò dal professor Ceccotto, primario del reparto neuro-chirurgico dell’Ospedale di Udine, per sottoporlo a un intervento chirurgico alla testa. I preparativi andarono forse per le lunghe finendo per sfiancare il povero Armando, che nell’agosto 1966 cominciò a rifiutare le cure – si legge nella cartella clinica – come segno di resa. Il suo calvario finì il 12 ottobre , quando morì di polmonite. Nel 2002, Romans ha intitolato a lui e ai suoi fratelli Mario e Alessandro, ex calciatori della Pro, il nuovo stadio comunale.



 

Riproduzione riservata © Il Piccolo