Il cadavere scoperto solo per un debito
MUGGIA. Il corpo mummificato di Maria Grazia Sasso è stato casualmente ritrovato per un mancato versamento di oltre 22mila euro in seguito a una causa persa al Tribunale di Trieste. Questo il motivo per cui tre giorni fa il personale del commissariato locale della Polizia di stato, accompagnato da un fabbro, è entrato in via Dante Alighieri 36 con l’obiettivo di cambiare la serratura al palazzo di proprietà della muggesana.
Un tassello che rende la vicenda ancora più paradossale e inquietante: se non ci fosse stata questa grana giudiziaria, peraltro iniziata pare nel lontano 2006, quanto tempo sarebbe ancora dovuto passare prima di ritrovare lo scheletro della Sasso?
C’è ancora molto sgomento tra le calli muggesane per l’incredibile ritrovamento di Maria Grazia Sasso, rivenuta mummificata dopo almeno sette anni di permanenza solitaria, nella sua casa in seguito a un arresto cardiaco. In molti a Muggia si stanno ancora chiedendo come mai in tutti questi anni nessun parente o amico si fosse mai interessato a lei. Ma in molti si chiedono anche come sia stato possibile che nessuno in Comune abbia mai chiesto di versare i pagamenti evidentemente non versati da così tanti anni.
E in effetti è stato proprio un pagamento mancato la scintilla che ha generato il suo incredibile ritrovamento. La scoperta dello scheletro della donna è stato possibile grazie all’accesso forzoso della casa di via Dante 36 motivato dal pignoramento del bene immobile di quattro piani, decretato nell’ottobre del 2014, epilogo di una causa intentata da Lorenzo Tecchiani, titolare dell’omonima ditta artigiana operante in via Flavia di Aquilinia 87 che vantava un credito inizialmente stimato in circa 40 mila euro per dei lavori di ristrutturazione del palazzo.
«Sono rimasto sbigottito quando ho letto sul Piccolo la notizia del ritrovamento di Maria Grazia Sasso: tutto mi sarei potuto aspettare tranne questo», ha commentato ieri basito Tecchiani. «Ora dovrò parlare con il mio avvocato per capire cosa fare», ha aggiunto l’artigiano. Dinanzi alla richiesta del Tecchiani, Maria Grazia Sasso, proprietaria dell’abitazione ereditata nel marzo del 2005 da Emma Donini vedova Vallon (non a caso proprio i due cognomi riportati oggi, a ben dieci anni di distanza, sul campanello esterno), aveva però promosso un ricorso dinanzi alla richiesta di risarcimento di Tecchiani, lamentando «carenze e vizi nell’esecuzione dei lavori». Il Tribunale di Trieste, in seguito alle perizie dei tecnici, aveva ridotto la cifra iniziale condannando la Sasso nel dicembre 2011 ad un versamento pari a poco oltre 22 mila euro.
Nello specifico «il diritto di ipoteca giudiziale a favore di Lorenzo Tecchiati era sino alla concorrenza dell’importo di 22.200 euro di cui 17.787 euro di capitale, 2mila 262,20 euro per interessi maturati e 2150,40 per spese successive». Maria Grazia Sasso, dunque, è stata trovata solamente perché «debitore esecutato» all’interno di una causa persa. Ora resta però da capire un dettaglio non poco importante: a quando risale la scomparsa di Maria Grazia Sasso? Sicuramente la donna non ha pagato, come avrebbe dovuto in base alla sentenza del Tribunale, la quota dovuta all’artigiano Lorenzo Tecchiani, ma per un semplicemente motivo: perché, secondo il primo parere del medico legale, nel dicembre del 2011 la Sasso era già morta. Dagli atti raccolti ieri risulta che la causa civile di primo grido risale al 2009, ma all’epoca Sasso non si era mai presentata in Tribunale.
Infine è emerso che nel 2007 Maria Grazia Sasso era ancora viva essendosi recato nella sua casa il geometra Giancarlo Vellani, incaricato dal giudice di fare una perizia dei lavori di ristrutturazione eseguiti da Tecchiani. La morte potrebbe dunque essere sopraggiunta tra i primi o gli ultimi mesi del 2008 (la donna è stata ritrovata con addosso degli indumenti invernali), a conferma della “forbice” proposta dal medico legale: per sette anni Maria Grazia Sasso, colta da un malore mentre era in casa, ha atteso che qualcuno bussasse alla sua porta.
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