Il brindisi tra uno sloveno e un croato, vicini di casa ma separati dal confine

Uno sloveno e un croato hanno visto sorgere la barriera nel bel mezzo delle loro proprietà. Ma hanno deciso di non arrendersi: la rete eretta da Lubiana non intaccherà la convivenza tra i due vicini di casa che appartengono a due stati diversi
Foto simbolo del filo spinato "srotolato" dalla Slovenia lungo il confine con la Croazia
Foto simbolo del filo spinato "srotolato" dalla Slovenia lungo il confine con la Croazia

 

LUBIANA. Il confine, quella linea tracciata dall’uomo sulle carte geografiche che divide, spezza. Quella linea per cui si va in guerra e si muore. Eppure sempre una linea rimane. Dallo scorso anno quella linea tra Slovenia e Croazia si è però materializzata in un lungo filo spinato. Per fermare i migranti e uccidere la selvaggina che vi si impigliava. E siccome non bastava, adesso dal filo spinato si passa alla barriera metallica, un lunghissima ringhiera per marcare, per sottolineare. Eppure l’uomo, a volte, quella barriera riesce a superarla, a negarla o, forse meglio, ignorarla. E così facendo ferisce l’anima di chi l’ha tracciata quella linea più del transito di mille carri armati fumanti.

È accaduto a Babno Polje a nordest del Monte Nevoso al confine tra Slovenia e Croazia. Qui una storia come tante: il confine divide due proprietà con annessa casa. Una di qua, l’altra al di là del confine. Da una parte Ivan Janeš, dall’altra Ivan Poje. Per vedersi, fino ad oggi non esibivano alcun passaporto. Semplicemente transitavano da una casa all’altra “violando” così la “linea” di confine. Un’amicizia transfrontaliera che ora però l’uomo, lo stesso che traccia le linee di confine sulle carte geografiche, vorrebbe interrompere.

E il condizionale è d’obbligo, in quanto anche se le proprietà adiacenti dei due Ivan è stata divisa, su ordine del governo di Lubiana sempre nell’ottica della politica anti-migranti, dalla rete metallica che segna il confine tra Slovenia e Croazia, loro non si sono per nulla scoraggiati. «Fa niente, dicono, faremo un buco nella rete ci metteremo in mezzo un tavolino e brinderemo ancora assieme portando ciascuno la propria bottiglia di Terrano. Ecco sulla linea di demarcazione sarà pace fatta anche in quella battaglia del vino che vede da mesi Lubiana e Zagabria fronteggiarsi a colpi di carta bollata e pandette davanti all’Unione europea per accaparrarsi il nome del aspro vino partorito dalla rossa terra ferrosa del Carso.

Un brindisi, quello tra i due Ivan, che vale più di cento summit bilaterali di affannati e affannosi diplomatici che cercano, tra mille microfoni spianati, di declinare la difficile arte del compromesso. Un brindisi che vale molto di più di una politica dell’esclusione che così rapidamente a preso piede nella ex Jugoslavia davanti all’onda dei migranti sulla rotta balcanica, politica che ha troppo in fretta dimenticato di come solamente 25 anni fa i profughi erano loro, centinaia di migliaia di civili indifesi che scappavano dalla violenza e dal sangue di quella guerra che ha distrutto la Jugoslavia di Tito e ha contribuito a ridisegnare l’Europa.

Ma se il nuovo “muro” tra Slovenia e Croazia cresce tagliando in due anche in Istria la tanto agognata unitarietà della minoranza italiana ora divisa in due Stati (Slovenia e Croazia per l’appunto) e all’orizzonte non si intravede la benchè minima ombra di migranti, se non quelli che, grazie al servizio profumatamente pagato dei trafficanti di uomini, riesce comunque a transitare attraverso fili spinati e pannelli metallici, cresce altresì l’affare economico che attorno a questo muro si è venuto a creare.

I conti di quanto questa opera è venuta a costare al contribuente sloveno sono difficili da fare anche perché molti documenti ad essa inerenti restano classificati. Sta di fatto che dalle stime fatte dai media del Paese si evince, con piccoli margini di errore, che fino adesso la spesa è stata di sei milioni di euro.

E c’è chi, al migrante pensa di erigere un piccolo monumento. Un esempio? Prima dell’apertura della rotta balcanica l’azienda Minis di Žalce, diventata principale fornitore di filo spinato e pannelli del governo sloveno, aveva (i dati sono relativi al 2014) 0,57 dipendenti e un ufficio. Ebbene alla fine del 2016 il governo sloveno aveva nei suoi confronti un obbligo di pagamento pari a due milioni di euro. Minis che, a detta del ministero della Difesa slovena, ha vinto una regolare gara d’appalto proponendo l’offerta migliore sia per il filo spinato, prima, che per i pannelli, dopo.

Il fatto è che il “muro” tra Slovenia e Croazia non si ferma, continua a crescere e sempre più chilometri di filo spinato verranno trasformati in pannelli a rete come quelli che tagliano in due Babno Polje. E a nulla servono le parole degli abitanti che spiegano come, da quelle parti, non è mai passato nessun migrante. Lubiana vuole così per difendere i suoi cittadini, come spiegano il premier e anche il ministro degli Esteri, Karl Erjavec.

I due Ivan, intanto, a Babno Polje stanno prendendo le misure per approntare il loro tavolino a cavallo del confine. Per il loro brindisi alla faccia della follia umana, delle sue linee tracciate sulla carta geografica e dei muri che dividono. Bisognerebbe dire ai leader politici che, a volte, un buon bicchiere di Terrano ha il potere inebriante di unire più di mille trattati.

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