Il Bic da Friulia a Bravar: decolla l’operazione del polo biotecnologico di Trieste
TRIESTE Diego Bravar nega con decisione: nessuna concorrenza con l’Area di ricerca e con il Polo tecnologico pordenonese, «si tratta di un’evoluzione storica naturale, un percorso di nuova imprenditorialità».
L’evoluzione, cui accenna l’imprenditore di origine istriana, è quella del Bic (Business innovation center), che nacque nel 1986 sotto l’egida dell’Iri, traslocò in Invitalia e passò poi alla finanziaria regionale Friulia. Sorse per cercare di rinfrescare il sonnacchioso mondo delle partecipazioni statali, allo scopo di dare ospitalità a piccole realtà con buone idee e pochi quattrini.
Ieri l’annuncio della svolta: il Bic di via Flavia transita in territorio privato, perché Friulia lo ha conferito alla Biovalley investments partner (Bip) fondata da Bravar, nel contesto di un aumento di capitale da 5,1 milioni di euro. Si va così a delineare un polo di biotecnologia, declinato sulle scienze mediche, che organizza 13 aziende per un fatturato di 7,8 milioni di euro.
Alla luce di questa operazione pubblico-privata, l’assetto azionario di Bip risulta così articolato: Bravar possiede il 30%, Edi Kraus (già assessore della giunta Cosolini) il 9%, Marina Pittini il 4%, la veneta Dima3 il 4%, un consistente 33% è suddiviso in piccole quote tra numerosi soci. Il soggetto pubblico Friulia, già presente nella compagine societaria, rappresenta ora una share pari al 20%.
L’aumento di capitale ha riguardato per 3,1 milioni la finanziaria regionale conferitaria dell’«incubatore» aziendale di via Flavia, per 2 milioni gli azionisti privati di Bip.
L’«evoluzione storica naturale» – torniamo all’evocazione iniziale di Bravar – è una trama che compie 35 anni. «Allora – dice l’ingegnere – il Bic era il secondo incubatore del Paese, creato dopo quello di Genova. Oggi l’Italia di incubatori ne ha 200, la maggior parte dei quali a gestione privata. Quello che avviene al Bic triestino è quindi la conferma di una tendenza nazionale. L’obiettivo è un modello operativo più snello».
Per Bravar è una conferma anche a livello autobiografico, curriculare: proprio al Bic fondò Tbs, una start-up pensata per “accudire” la strumentazione clinica. Allora la neonata si dimostrò innovativa, acquisì un gran numero di appalti a livello internazionale, giunse a quotarsi nel segmento borsistico Aim, da dove venne “de-listata” dopo l’acquisizione da parte del gruppo Althea.
Dopo il decollo di Tbs, Bravar si trasferì in Area di ricerca a Padriciano, da dove è ridisceso quando diede vita a Biovalley Investments, tornando al Bic di via Flavia, luogo dei primi amori imprenditoriali. Con Biovalley presidia una presenza in Althea e partecipa a Trieste convention center, il centro congressi in Porto vecchio di cui Bravar ha seguito in prima persona la gran parte della realizzazione. Di recente, insieme ad altri tre soggetti, cogestisce l’Urban Center comunale in corso Cavour, avviato a diventare una sorta di “vetrina” urbana dell’investimento tecnologico e scientifico. Ma ancora non si accontenta e guarda a un suo vecchio pallino, l’edificio ex Olcese (proprietà ex Ezit), in una prospettiva di ampliamento.
Favorevoli all’alleanza pubblico-privata anche i commenti di parte pubblica. Friulia aveva rilevato il Bic da Invitalia nel 2016 in una condizione – ricorda una nota congiunta – di «perdita strutturale» aggiustata nel corso del quinquennio. L’assessore regionale alle Finanze, Barbara Zilli, ricorda l’europrogettazione Por Fesr, che interviene sui futuri investimenti in materia di digitalizzazione, importanti soprattutto in ambito medico.
Federica Seganti, presidente di Friulia, ritiene quello di Bip un «piano di sviluppo significativo non solo a livello territoriale ma anche a livello nazionale e internazionale». —
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