Icgeb sotto esame. Obiettivo: elevare la qualità
Inizia martedì 17 maggio i suoi lavori a Trieste il Consiglio Scientifico dell'Icgeb, composto da 14 scienziati di alto prestigio. Vi fanno parte Richard Roberts e Harald Zur Hausen, vincitori del premio Nobel. Il primo, un inglese trapiantato nel Massachusetts, ha compreso il meccanismo che regola la produzione dell'Rna messaggero; il secondo, tedesco, ha scoperto il virus del papilloma umano e il suo ruolo nel tumore dell'utero. Vi saranno anche Ananda Chakrabarty, microbiologo americano di origine indiana, famoso per essere stato il primo a brevettare un organismo vivente, un batterio che degrada gli idrocaburi. E poi Roger Beachy, americano, uno dei massimi esperti di biotecnologie in ambito agrario; è stato il primo a generare una pianta di pomodoro resistente agli insetti. E infine Jorge Kalil, brasiliano, presidente dell'Unione Internazionale delle Società di Immunologia e Mariano Garcia-Blanco, statunitense, che dal Texas coordina la collaborazione con il Brasile per il problema di Zika.
I membri della Consiglio valuteranno uno ad uno i progetti di ricerca dell'Icgeb a Trieste, esprimendo pareri, consigli e raccomandazioni. Interagiranno con studenti di dottorato e giovani ricercatori, parleranno con i responsabili dei laboratori. Alla fine dei lavori, il loro giudizio sarà essenziale per riformulare, con cadenza triennale, le linee di ricerca del Centro.
Quale è il senso di sottoporsi a una simile valutazione, esperta e autorevole? Essenzialmente quello di migliorare la qualità. Tutte le istituzioni scientifiche di livello internazionale hanno il proprio Consiglio Scientifico con lo stesso scopo: fornire un giudizio qualificato su cui formulare scelte per il futuro. La valutazione coinvolge sia i ricercatori sia coloro che li hanno assunti: se i primi non hanno successo sono responsabili anche i secondi.
Il successo delle istituzioni che funzionano è basato su questo concetto di co-responsabilità tra chi sceglie e chi viene scelto. Chi assume ha ampio margine per farlo, ma si accolla la responsabilità del proprio operato. In Italia, invece (e non soltanto nelle Università), impera il concetto del "concorso", dove un insieme farraginoso di normative de-responsabilizza chi fa la scelta di una persona, distribuendo la decisione su una commissione di molti membri, obbligata a applicare una serie di criteri stabiliti a priori. Se la scelta di un ricercatore o di un professore si rivela sbagliata, nessuno ne viene chiamato a rispondere; il posto fisso, poi, cristallizza l'errore per decenni. Un sistema così congegnato non può avere successo, come ampiamente dimostrato dalla perdita di competitività scientifica del nostro Paese.
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