I soldati al Tar: «All’estero benefici come in guerra»

In Kosovo come a El Alamein. La richiesta di equiparazione delle missioni accolta dal Tribunale ma rigettata in appello: ora sollevato il quesito di costituzionalità
Un bambino in bicicletta davanti a un soldato e a un blindato italiani in Afghanistan
Un bambino in bicicletta davanti a un soldato e a un blindato italiani in Afghanistan

La ritirata di Russia come una pattuglia nel Kosovo dopo la guerra tra serbi e albanesi e i raid della Nato; una distribuzione di aiuti umanitari in Afghanistan come la battaglia di El Alamein. È l’equiparazione di queste vicende, che a chi ha sinceramente scelto d’indossare l’uniforme animato da alti sentimenti di amor di Patria e spirito di servizio suona come una bestemmia morale, che tra i 500 e i mille militari delle varie forze armate di stanza nel Friuli Venezia Giulia hanno chiesto al Tar del Friuli Venezia Giulia.

A Trieste potrebbero essere qualche decina, la maggior parte dei quali ora o in passato nei ranghi del Reggimento Piemonte cavalleria. Difficile

Vogliono, con questo riconoscimento, ottenere i cosiddetti “benefici combattentistici”, riservati finora, con apposite leggi, a chi ha affrontato in divisa le campagne di guerra 1940-’45: in pratica ulteriori vantaggi economici e soprattutto una “supervalutazione” pensionistica. Ogni mese trascorso nei “teatri d’Oltremare” nelle missioni di mantenimento della pace varrebbe il triplo.

Il Tribunale amministrativo regionale ha dato ragione ai soldati ricorrenti: «L’attività svolta dai militari italiani per conto dell’Onu nelle cosiddette missioni di pace o equiparate si deve considerare, per le concrete modalità e i rischi anche mortali, equivalente a una campagna di guerra vera e propria, anche se le finalità sono ovviamente quelle di mantenere o ripristinare la pace».

«I magistrati per accertare questa “verosimiglianza” - spiegano all’Avvocatura cittadina - non hanno proceduto ad audizioni o altri studi e comparazioni particolari ma si sono uniformati al “fatto notorio”, hanno cioè “preso per buone” notizie di stampa e la conoscenza che in generale si ha della situazione nei teatri operativi».

Onore e rispetto ai Caduti, gli invalidi, ai feriti, a tutti coloro che hanno servito senza demerito dalla Bosnia-Erzegovina all’Iraq, dal Kurdistan al Libano ma il paragone con le furibonde e sanguinose battaglie del passato sembra, fortunatamente, eccessivo. Almeno così l’ha ritenuto il Consiglio di Stato, organo d’appello del Tar, che ha bocciato la sentenza, come quella analoga della lombarda. Ieri dall’Avvocatura dello Stato di piazza Dalmazia sono partite le comunicazioni a Roma, all’Avvocatura generale e al Ministero della difesa: processo sospeso poiché il Tar è ricorso alla Corte costituzionale. Sì perché partendo dall’equiparazione tra il Secondo conflitto mondiale e le attività nelle moderne missioni all’estero i giudici triestini hanno ravvvisato nella stroncatura della loro sentenza di dovere sollevare «la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della Legge 1746 del 1962 (attribuisce il godimento dei benefici combattentistici ai reduci del 1940-’45), come interpretato dal diritto vivente e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, per violazione dell’Articolo 3 della Costituzione, il principio dell’eguaglianza sostanziale». Cioè a eguali rischi e situazioni, eguali diritti e trattamenti.

L’eventuale vittoria dei ricorrenti, che a piazza Dalmazia sembra alquanto remota, oltre a provocare un buco milionario nel Bilancio dello Stato ne aprirebbe un altro, forse più grave, morale ma non del tutto inatteso in un’epoca di mercificazione globale, di sentimenti e valori. Questione di tempi. Appunto altri tempi, altri militari.

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