I settemila serbi di Trieste festeggiano 260 anni di storia

La comunità ricorda la costituzione del primo consiglio autorizzato da Maria Teresa. Previste cerimonie senza sfarzi. Le cifre risparmiate verranno donate ai terremotati
Una cerimonia religiosa all'interno della chiesa di San Spiridione
Una cerimonia religiosa all'interno della chiesa di San Spiridione

TRIESTE Eredi di mercanti e marinai approdati nel porto franco ai tempi di Maria Teresa d'Austria. Operatori edili arrivati in regione per ricostruirla, dopo il terremoto del 1976. Profughi delle guerre jugoslave negli anni Novanta e Duemila. Sono i Serbi di Trieste che, domani, festeggiano i 260 anni della loro comunità.

Una comunità coesa, vivace e ben strutturata. Quando a Belgrado, Tito inaugurava il socialismo, l'enclave triestina eleggeva i propri rappresentanti all'interno di una confraternita cristiana. Oggi come allora il cuore pulsante è la chiesa di San Spiridione. Varcata la soglia dell’edificio religioso, ci si trova immersi in un’esperienza sensoriale totalizzante: le pareti sono lastricate d’oro in stile bizantino, l’aria è pervasa da un forte odore di incenso e risuonano antichi cori liturgici slavi. Un ragazzo entra, lascia un’offerta in cambio di una candela e si dirige al centro della chiesa, dove saluta tre immagini sacre, baciandole e segnandosi davanti a ciascuna. «In Serbia, quando si entra in una casa, si salutano i padroni: allo stesso salutiamo i santi patroni di questa chiesa», spiega Dušan, un volontario. In un angolo, intanto, padre Rasko esegue una benedizione: attorno al collo porta una lunga stola («si chiama un epitrahilj», continua Dušan), con cui copre il capo del fedele inginocchiato.

Il pope, Rasko Radovic, è a capo del tempio. Ha una stretta decisa e senso dell'umorismo: «Per conoscere la storia dei serbi a Trieste conviene chiedere al presidente della comunità: qui amministriamo lo spirito, ma solo dalla terza sfera angelica in su!», dice. La comunità serba invece si amministra attraverso il proprio consiglio, regolato da uno statuto approvato dallo Stato italiano. Il presidente, Zlatimir Selakovic, ne chiarisce alcune funzioni: «La comunità religiosa serbo-ortodossa è un organo dello Stato italiano, mentre lo Stato serbo è rappresentato dal consolato. Abbiamo uno statuto e un consiglio di amministrazione, con tanto di presidente e organi di controllo civili e fiscali. Tutti i ruoli sono onorari, a titolo gratuito». Per esercitare il diritto di voto nella comunità, bisogna essere membri della confraternita religiosa: «I confratelli eleggono il consiglio, il consiglio elegge presidente e vicepresidente. Per diventare confratelli ci sono precisi requisiti: non avere precedenti penali, avere un certificato di un pope che attesta l'appartenenza al rito serbo-ortodosso. Trattandosi di una confraternita, le donne non possono farne parte», spiega il presidente.

Fin qui gli organi amministrano della comunità serba che, come soggetto giuridico, possiede molti palazzi nel centro di Trieste, costruiti dalle ricche famiglie serbo-triestine ai tempi degli Asburgo: si parla di nomi, per intendersi, del calibro di Gopcevich. I palazzi sono affittati, e i ricavati investiti in attività culturali: «C'è un archivio, una biblioteca con 7.000 volumi che presto aprirà i battenti al pubblico, una scuola supplementare, i lavori di restauro della chiesa, due associazioni culturali, la Vuk Karazdic e la Pontes Mostovi - continua Selakovic -. Il circolo Vuk Karadzic ogni estate organizza il più grande torneo di calcio della regione a Domio, dove arrivano pullman dai Balcani, dall'Austria e dalla Svizzera. Diventa un piccolo festival di cultura serba, con grigliate giganti e orchestre balcaniche. La Pontes Mostovi ha diversi gruppi folkloristici; organizzano spettacoli teatrali, concerti e anche cene etniche, aperte a tutti i triestini».

Oggi i serbi a Trieste sono 6800, secondo il dato più recente, ma il picco si è registrato nel 2011, con oltre 11mila presenze tra residenti e non. «Per il 260.o anniversario della comunità di Trieste, faremo una festa nella nostra sala, ridotta rispetto agli anni scorsi per mandare il denaro così risparmiato ai terremotati: nel 2014, dopo le alluvioni in Serbia, gli italiani e in particolare i triestini sono stati generosissimi e non lo dimentichiamo. Trieste è una piccola New York», conclude il presidente.

L'anniversario ricorre nella data della costituzione a Trieste del primo consiglio, nel 1756, di serbi e greci, accomunati dall’ortodossia. La fondazione del collettivo religioso era stato autorizzato dall’imperatrice Maria Teresa nel 1751 e subito erano iniziati i lavori per la costruzione di San Spiridione. Nel 1781 serbi e greci si separarono in seguito a una disputa sulla lingua da usare nelle liturgie: i serbi tennero San Spiridione, ricostruito più grande un secolo dopo, mentre i greci, risarciti dai serbi per la perdita del tempio, edificarono San Nicolò. I primi serbi erano giunti a Trieste nel 1736 sulla scia delle migrazioni commerciali, attirate a Trieste da tutta Europa dall'istituzione del Porto franco nel 1719. Per questo le famiglie più antiche, oggi quasi tutte estinte o migrate, sono esponenti dell’alta borghesia triestina di assicuratori, mercanti e armatori. Le famiglie recenti invece fanno i mestieri più disparati.

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