I segreti del bunker di Tito finanziato dagli Stati Uniti

L’enorme rifugio antiatomico, poi divenuto museo, costò 4,6 miliardi di dollari. In 7 mila metri quadrati poteva ospitare 350 persone con autonomia di 6 mesi

SARAJEVO. Doveva preservare “Lui”, il grande Maresciallo e la sua nomenklatura più stretta, dagli attacchi del nemico. Doveva avere un aeroporto nei pressi e risultare difficile da essere colpito da terra, aria e mare. Fu così che nel 1953 iniziarono i lavori nella montagna dello Zlatar vicino a Konjic, nel cuore della Bosnia-Erzegovina, per costruire il bunker di Tito, lavori che si conclusero appena nel 1979.

Il bunker, sigla D-O ARK (Atomska Ratna Komanda ossia comando per la guerra atomica), nome in codice Istanbul, doveva resistere anche a un attacco nucleare, come spiega il magazine Panorama edito dalla fiumana Edit, ed essere in grado di fungere da centrale militare oltre ché di salvaguardare la vita di Tito.

Ma perché il nome in codice scelto era proprio Istanbul? La versione più accreditata sostiene che l’opera sia stata in gran parte finanziata da fondi americani che giungevano in loco passando proprio per Istanbul. Un finanziamento che spiega molte cose sul ruolo di Tito tra i blocchi di Oriente e Occidente dell’epoca.

Oggi il bunker, decisamente e volutamente (a quei tempi) fuori da ogni itinerario turistico, è un museo. Due ore di visita nelle viscere della montagna per immergersi in quello che fu lo spirito della guerra fredda.

L’ingresso è camuffato da due semplici case a un piano, tipiche costruzioni bosniache che mai pensereste possano essere l’accesso a una sofisticata rete sotterranea di tunnel e di stanze. L’ingresso è un tunnel curvo fatto così per attutire l’urto di un eventuale bombardamento. Al “pianterreno” ci sono 12 blocchi completamente separati e tra loro autonomi. Una zona contiene il gruppo elettrico, una seconda quello della climatizzazione, c’è poi quello dell’acqua (collegato a una sorgente sotterranea) e del gasolio, un ospedale e le cucine. Nei magazzini erano conservati tutti i pezzi di ricambio necessari alla manutenzione dalla vite più piccola al gruppo elettrogeno. C’erano ovviamente i magazzini per il cibo e quello per i medicinali. All’interno la temperatura è di 22° con un’umidità che va dal 60 al 70 per cento.

Nella zona “nobile” della struttura si trova una stanza per le riunioni e un telefono rosso che poteva essere usato solo da Tito in persona per comunicare all’interno e all’esterno (il bunker non era collegato al sistema nazionale delle poste e telefoni). Fra le altre, ecco poi una stanza riservata al Maresciallo, la stanza da letto per la moglie Jovanka e via via quelle della nomenklatura di Stato e di partito. Da notare che c’erano anche 8 stanze riservate ai presidenti delle Repubbliche e delle Province autonome dell’allora Federativa; ma non era prevista la presenza delle famiglie degli stessi.

Il bunker è costato 4,6 miliardi di dollari. Poteva accogliere 350 persone con una autonomia di sopravvivenza di 6 mesi. Costruito tra il 1953 e il 1979, ha dodici blocchi e si estende su una superficie di 6.854 mq. Ha in totale oltre cento stanze da letto, riserve di nafta pari a 50 tonnellate. È dotato di due maxi climatizzatori, ognuno lavora per dodici ore e ogni sei cambia l’aria in tutti gli ambienti sotterranei.

Ci sono seimila lampadine una tv via cavo in gran parte delle stanze. Il punto più lontano dista dall’entrata 280 metri. —


 

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