I referendum non passano, Pahor sempre più isolato
No all’innalzamento dell’età pensionabile, misure “anti-lavoro nero” e i limiti sull’apertura dei dossier segreti ex jugoslavi. Ma il premier non si dimette
LUBIANA. Tre referendum, tre sconfitte: il governo Pahor esce con le ossa rotte dall'appuntamento con le urne. Gli elettori sloveni domenica hanno detto “no” alla riforma pensionistica, alla legge contro il “lavoro nero” e a quella che avrebbe dovuto limitare l'accesso agli archivi degli ex servizi segreti jugoslavi. In tutti e tre i casi i contrari hanno superato il 70%. Ha votato poco più del 40% del milione e 700mila aventi diritto, ma in Slovenia non esiste un quorum per i referendum, per cui le consultazioni sono valide.
Anche se l'esito era ampiamente annunciato, è un colpo dal quale la maggioranza difficilmente riuscirà a riprendersi. Ieri il premier Borut Pahor ha ribadito che non intende assolutamente dimettersi e che suo compito rimane quello di tirare il Paese fuori dalla recessione. «Se le dimissioni del governo comportassero automaticamente le elezioni anticipate mi ritirerei, ma questo automatismo non esiste» ha dichiarato Pahor invitando l'opposizione a individuare un proprio candidato per la guida del governo e di chiedere poi la sfiducia costruttiva. «È una soluzione inaccettabile - gli ha replicato il leader del Partito democratico Janez Jansa - perché significherebbe che l'opposizione sceglie un candidato e la maggioranza lo vota. Sono invece proprio le dimissioni del governo o del suo presidente il primo passo verso le elezioni anticipate».
Dalle file della stessa maggioranza giunge invece la proposta di un rimpasto di governo. Il Partito Zares - ha annunciato il capogruppo in parlamento Franco Juri - potrebbe chiedere anche un cambio al vertice. Una decisione sarà presa nei prossimi giorni ma non è escluso che ai Socialdemocratici, come primo partito della coalizione di governo, “Zares” chieda d’individuare un nuovo candidato premier.
«La Slovenia - ribadisce Juri - ha bisogno di un mandatario credibile». Tornando ai referendum, preoccupa in particolare la bocciatura della riforma pensionistica: avrebbe portato a 65 anni l'età di pensionamento per tutti, con un aumento di 3 anni dell'anzianità contributiva: 43 anni per gli uomini e 41 per le donne. Per il governo era una riforma senza alternative, considerati i trend demografici e il peso del sistema previdenziale sulla spesa pubblica. Dal sindacato confermano di essere consapevoli che la riforma sia necessaria, ma non nei termini voluti finora dal governo, che volevaa imporre cambiamenti senza un vero dialogo con le parti sociali. Bocciata la legge sul sistema previdenziale, il governo ha già annunciato nuovi tagli alla spesa pubblica ma anche su questo provvedimento si annunciano battaglie. I sindacati temono che si tratti di una ritorsione dell'esecutivo più che di vera necessità e lo stesso ministro della Pubblica amministrazione Irma Pavlinic Krebs è contraria: «Gli statali stanno già pagando il peso della crisi e non è giusto cercare altre risorse risparmiando ancora sul pubblico impiego».
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