I primari sulla riforma: «Basta che i soldi risparmiati non finiscano poi a Udine»
E adesso che la riforma sanitaria regionale è fatta, e porta cambiamenti organizzativi, strutturali e di “cultura della cura”, la sfida è realizzarla, dicono molti primari triestini che di fatto l’approvano. Per Giorgio Paladini, direttore dell’Ematologia dell’ospedale Maggiore, dei Dipartimenti di oncologia e di laboratorio dell’Azienda ospedaliera, «l’integrazione è importante soprattutto per far “entrare” i medici di famiglia a contatto con la cultura sempre più arroccata negli ospedali, e fare dell’ospedale Maggiore un vero poliambulatorio dove anche sviluppare una “scuola” per giovani medici di famiglia, dove i vari specialisti possano fare da tutor, e in seguito da consulenti costanti, fidelizzando i rapporti, in modo da poter raccordare davvero le esigenze dei pazienti. Così si libererebbe il Pronto soccorso. E poi - aggiunge Paladini - questo stesso modello va assunto per regolare l’appropriatezza dei farmaci e degli esami, con verifiche comuni continue. Se questo non avverrà, e la sanità territoriale comunque avrà più risorse, le risolverà nel buonistico “sociale”, senza migliorare le cure, mentre l’ospedale con meno soldi perderà solo funzioni. In cauda venenum - chiude il medico -, non vorrei che essendo Trieste provincia piccola noi pur facendo tutti i “compiti a casa” ci ritroviamo poi una cattedrale a Udine, per concentrazione di soldi».
Per Emanuele Belgrano, direttore di Urologia, il consenso teorico all’impianto di legge sbiadisce di fronte alla «cosa che mi urla dentro e mi brucia - afferma -, e cioé che si parla sempre dell’eccellenza ospedaliera triestina dandola per scontata: qui da 5 anni si fanno zero investimenti sulla tecnologia, il 20% dei miei pazienti va in altre regioni per questo, dove trova la strumentazione, e magari non la stessa professionalità, e dunque torna da noi a farsi “aggiustare”... Per il resto, unificare le due Aziende è da sempre la cosa che ritengo giusta, perché avere due direttori generali, due sanitari, due amministrativi?».
Sul ruolo dell’ospedale Maggiore ha un’indicazione chiara anche Marco Confalonieri, direttore di Pneumologia: «Deve diventare una vera Casa della salute, e l’unica, in una provincia piccola dove basta per le “primary care” una sede sola, peraltro bellissima. I soldi risparmiati - è la punzecchiatura che si ripete - non vadano però a Udine, ma a investimenti per connettere il sistema ospedaliero coi tanti centri di ricerca. La specificità di Trieste va “stressata” in questo senso».
Dalla sanità territoriale Roberta Balestra, direttrice del Dipartimento delle dipendenze dell’Azienda sanitaria, vede soprattutto con soddisfazione vinta la battaglia che ha convinto la Regione a conservare questo specifico dipartimento, senza disperderlo nei distretti: «Sarebbero venuti a cadere progetti, attività istituzionali, governo della spesa, attività in carcere tipiche di un dipartimento - afferma -, mentre aumentano gravità e complessità delle dipendenze sarebbe stato grave diminuire la complessità d’intervento». L’unificazione ospedale-territorio «va bene - aggiunge Balestra -, purché si realizzi la redistribuzione di risorse a favore delle Aziende sanitarie, per prendere in carico il paziente “complesso”, seguirlo a domicilio, con specialità ospedaliere che arrivano a tutti: si valorizzano competenze, si evitano duplicazioni».
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