I primari: «Qui si rischia un ospedale più piccolo»

Avevano firmato in 41 un appello per la salvaguardia di alte specialità e ricerca La riforma sanitaria? «Non è possibile restare chiusi nella nostra provincia»
Di Gabriella Ziani
Foto BRUNI Trieste 14 02 03 Primario Urologia Prof.Belgrano
Foto BRUNI Trieste 14 02 03 Primario Urologia Prof.Belgrano

Chi attende “fiducioso” e chi “sfiducioso”. Il testo completo non è noto. Le cifre non rassicurano. I direttori di “struttura complessa” degli ospedali triestini (un tempo detti primari di reparto) hanno le antenne rispetto alla riforma sanitaria che la Regione sta preparando con accorpamento, fra l’altro, di Aziende sanitarie e ospedaliere nel nuovo ente Eas. E stanno attenti anche perché in 41 (pochissime le eccezioni) lo scorso febbraio, all’indomani della proclamazione del progetto vincitore per il restauro di Cattinara, avevano indirizzato a tutti i vertici e alla Regione una lunga lettera. In cui chiedevano garanzie per il futuro della sanità triestina. Sul fronte assistenziale, delle alte specialità, della ricerca, delle tecnologie e della clinica.

Ma che cos’è un restauro di ospedale, a lunga gittata di tempo, rispetto a una riforma regionale che unifica fra pochi mesi Azienda ospedaliera-universitaria con Azienda sanitaria, che toglie Gorizia e Monfalcone dal bacino di attrazione di un ospedale “hub”, cioé di riferimento regionale (posto che Cattinara è già classificato di rilievo nazionale)?

Pragmatico è Claudio Tiribelli, fondatore della Clinica e della Fondazione del fegato e direttore del Dipartimento delle medicine: «L’Azienda unica va bene - osserva - se c’è una non equivoca visione di collaborazione “regionale”, con integrazione di funzioni, abolendo i reparti doppi». Dunque, una sola Cardiochirurgia in Fvg, come da tempo temuto? «No, per prima cosa - detta Tiribelli - c’è da guardare alla necessità clinica, se un reparto fa 50 mila interventi di cataratta, è ovvio che non basta una sola Oculistica in regione. Secondo, bisogna guardare alla necessità assistenziale. Per uno scompenso cardiaco dell’anziano non occorre un centro di alta specializzazione. Terzo, bisogna creare un “network” regionale delle altissime specialità, coordinate da quella che ha valenza maggiore. Senza questo, in una regione così mal raggiungibile a causa dei trasporti come si fa attrazione dal resto d’Italia?».

Domanda di peso. Senza pazienti “da fuori” come sopravvive un ospedale specialistico chiuso in una piccola provincia, se Gorizia e Monfalcone diventano capofila della Bassa friulana?

«Io non ci ho capito niente - confessa Giorgio Berlot, direttore di Anestesia e rianimazione -, non ho paura a dirlo. Ne ho sentite tante che non so più che cosa pensare: che progetto è, come sarà impostato? Ho letto cose al limite del ridicolo, “Gorizia non subirà più rapine da Trieste”, ma quali rapine? Quanti pazienti vengono qui? Assai pochi. L’ospedale guidato dall’Azienda sanitaria? Conosco una legge che stabilisce i rapporti tra ospedale e università, non una che regoli i rapporti tra Aziende sanitarie e ospedali universitari. Sarò uno scettico inguaribile - conclude Berlot - ma aspetto “sfiducioso”».

Al contrario Giusto Trevisan, direttore di Dermatologia, è animato da fiducia grande. «Il problema vero - afferma - è che la riforma fa riferimento a un bacino di 600 mila cittadini per giustificare un ospedale di alto livello. Abbiamo minore popolazione. Non ho capito se essere “ospedale universitario” ci salva o meno. Penso: più no che sì. Però abbiamo un’assessore regionale alla Salute molto brava, e un direttore della facoltà di Medicina bravissimo. Confido in queste persone splendide».

I dubbi, sulla base dell’esperienza, prevalgono in Emanuele Belgrano, direttore della Clinica urologica. «L’Area vasta con Gorizia era solo sulla carta, noi abbiamo forte attrazione dalla Bassa friulana. Che la riforma assegna però a Gorizia. Ah, la geografia - sospira Belgrano -, Gorizia è un piccolo ospedale, è irrazionale farne un centro di riferimento, casomai bisognava allargare Trieste fino a includere la Bassa friulana. Tagliare la riforma su confini provinciali è un vero peccato: non si valorizzano le alte professionalità dell’ospedale». Ma qualcosa di “buono subito” per Belgrano c’è: «La fusione Azienda ospedaliera-Azienda sanitaria? Logica. Ho sempre ritenuto assurdo, in una stessa città, avere due direttori generali, due direttori amministrativi, doppi stipendi, e meno possibilità d’integrazione ospedale-territorio per i pazienti. Una divisione che gridava vendetta al cielo da quel dì».

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