I nostalgici di Tito ricordano il vaiolo vinto dal Maresciallo

BELGRADO Avrebbe dovuto essere un grande evento, per ricordare chi, a suo modo, fece la storia nei Balcani. Ma la pandemia impatta anche sulle celebrazioni.
Lo farà domani, anche su una data storica: il 40mo anniversario della morte di Josip Broz Tito, spirato il 4 maggio 1980 a Lubiana, a 88 anni. «Il grande cuore» del Maresciallo ha smesso di battere, annunciarono le autorità jugoslave qualche ora dopo, mentre centinaia di migliaia di persone si apprestavano a piangerlo mentre sfilava il Treno Blu che lo riportava a Belgrado, per essere seppellito alla “Casa dei fiori”. Mausoleo dove quest’anno, causa frontiere chiuse per coronavirus, non arriveranno le tradizionali comitive da Slovenia, Bosnia, Macedonia, centinaia di nostalgici di ogni età, con fazzoletti rossi e bandiere jugoslave. Con alta probabilità, il 4 maggio 2020 sarà una giornata dal profilo basso, con solo qualche serbo a commemorare Josip Broz prima del coprifuoco quotidiano. Ma, in queste settimane di emergenza coronavirus, di Tito si parla comunque tanto, forse più del solito. Lo si fa sui media e sui social, in tutta l’ex Jugoslavia, dove sono in tantissimi a riandare con la memoria all’ultima grande epidemia pre-coronavirus che colpì la Federazione e alla guerra vinta dal regime contro la malattia. Era il 1972, quando il vaiolo colpì la Jugoslavia di Tito, importato da un pellegrino tornato dal Medio Oriente.
Contagiò 175 persone, uccidendone 35. Il regime reagì con decisione, imponendo la legge marziale e sguinzagliando «esercito, polizia e medici» a identificare i possibili contagiati per poi distribuire in massa il vaccino, ai tempi disponibile. Molti over-60 hanno sottolineato le somiglianze con il periodo attuale, il divieto di circolazione per i non vaccinati, hotel e campeggi destinati alla quarantena. La guerra al vaiolo fu vinta in soli tre mesi, malgrado qualche titubanza dello stesso Tito. «Ci mise tre giorni per dichiarare l’epidemia, rendendo il nostro lavoro più difficile», ha rivelato l’epidemiologo Zoran Radovanović, in prima fila contro il vaiolo. Lavoro che, ai tempi, era però facilitato da un sistema sanitario all’avanguardia e da cittadini che «non mettevano in discussione le decisioni dei medici» e delle autorità, «mentre oggi non credono più a nessuno», ha aggiunto Radovanović.
Altra differenza, la figura del leader, ha ricordato il compositore Vojkan Borisavljević. Tito non sfruttò l’emergenza e non comparve in tv neppure una volta, lasciando spazi a medici ed esperti, uno stile che sembra essersi oggi perso, in molte parti dei Balcani e dell’Est Europa. —
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