«I negozi vanno riaperti»: la rabbia di Monfalcone nel mirino della questura
Piazza della Repubblica occupata da 250 artigiani, commercianti ed esercenti Rapporto sul sit-in a prefetto e Procura: niente autorizzazione e regole violate

La protesta dei commercianti a Monfalcone (Bonaventura)
MONFALCONE Un pettine, una lima, una tazza con il cucchiaino, un’elegante borsa con il marchio della boutique per la consegna degli abiti ai clienti. Il tappetino sportivo arrotolato è affiancato da due pesi manuali. Ciascuno a identificare con un simbolo l’attività che l’emergenza Covid ha bloccato da due mesi.
Commercianti in piazza a Monfalcone: la protesta finisce nel mirino della Questura
Tanti simboli, i “ferri del mestiere” di artigiani e commercianti che ieri mattina sono arrivati in piazza della Repubblica “bendati” dalle mascherine. A terra anche le chiavi di negozi e ambienti di lavoro, a cartelli e fogli è stata affidata l’impellenza di rimettersi in moto. Subito. Hanno già provveduto, a proprie e non poche spese, ad attrezzarsi, comunque pronti ad allinearsi alle prescrizioni. Il lavoro è dignità, e ora ci sono le condizioni per ripartire.
Piazza piuttosto affollata, arrivi anche da Trieste e Gorizia. Stimate 250 persone. Uno scenario inaspettato, le forze dell’ordine a monitorare l’evento, a fornire sul campo le indicazioni circa i comportamenti da assumere invitando a “circolare”. Iniziativa pacifica, civile, i numeri già a colpo d’occhio facevano un certo effetto.
Tutto s’è tradotto in un rapporto inoltrato all’Autorità giudiziaria e alla Prefettura. E non è stato un ordinario rapporto quello stilato dalla Polizia.
Il questore Paolo Gropuzzo ha fatto riferimento al mancato preavviso circa l’iniziativa, ma anche a comportamenti non proprio osservanti le norme in materia di contenimento del contagio. Diverso è stato a Ronchi dei Legionari, quando a consegnare le chiavi sono stati un centinaio. Così come a Cormons, con circa 120 partecipanti.
Il questore ha affermato: «È stata inoltrata comunicazione all’Autorità giudiziaria e al Prefetto di quanto rilevato e constatando che non c’è stato da parte degli organizzatori alcun preavviso sull’effettuazione dell’iniziativa. Non sempre, peraltro, le misure prescrittive sono state rispettate, cosa invece avvenuta in altre situazioni analoghe».
Al Commissariato di Monfalcone non è giunta comunicazione dell’evento, com’è comunque d’obbligo. In virtù del preavviso vengono fornite le specifiche attinenti le misure di sicurezza Covid 19.
Coronavirus, la protesta dei commercianti di Monfalcone contro il governo Conte
E pur con le indicazioni stabilite dalla norma di legge date ieri mattina in piazza, s’è verificato ciò che «non si poteva fare».
Simboli, chiavi, slogan. Artigiani e commercianti hanno fatto quadrato: vogliono ripartire, vogliono cash. La prossima settimana apriranno aziende con migliaia di lavoratori, perché non è consentito a chi ha pochi dipendenti? Parole segnate sui cartelli. “Abbiamo bisogno di liquidità, lo Stato non ce lo garantisce”, sopra un pettine nero a cui si è affiancata una lima per unghie. “Riapriamo subito, vogliamo lavorare”, il messaggio scritto da Alex, titolare del bar Paninoteca di Marina Julia.
C’è chi ha messo a terra una visiera, come a dire: abbiamo quanto serve per riaprire. Chiara Minatti, accompagnata dal figlio, un ragazzino, per il suo bar in via Roma ha posato chiavi e la tazza con il cucchiaino: «Ho speso un bel po’ di soldi per adeguare il mio locale, tra sanificazione, pitturazioni e l’organizzazione in ordine a tutte le misure di sicurezza».
Dietro questi simboli e slogan ci sono intere famiglie messe in grave difficoltà. Con Claudio Zorzin, del negozio Scandalo a scandire: «Dopo due mesi di ferie forzate, siamo già organizzati per osservare tutte le norme previste. Il mio negozio è pronto, ma non risulta ancora chiaro come debba avvenire la sanificazione degli abiti. C’è confusione. Non vorrei peraltro - ha concluso – che ci trovassimo davanti alle direttive annunciate in tivù dal presidente Conte il giorno prima della riapertura».
La parrucchiera di Maribel ha spiegato: «Ho portato in salone i pannelli divisori e quanto serve. Bastiamo in due per lavorare».
Già, cosa significa assembramento? «Nella mia attività non abbiamo mai ressa... », ha fatto notare la titolare de La Sanitaria Monfalcone. Patrizia Simeone, opera in Corso del Popolo: «A marzo mi ero appena trasferita, dopo 5 giorni mi hanno fatto chiudere. Il mio è un negozio di abbigliamento è piccolo, non stanno tanti clienti».
Massimiliano, vicino ai suoi due figli, fa presente: “Io non ci sto, non mi farete indebitare, non pago più nulla”, lui gestisce la Palestra Unica.
«Dopo cinquantacinque anni di commercio non sono ancora stanco, sono stanco solo di stare fermo – s’è inserito Matteo Frattima del negozio di famiglia Sartori –. Vogliamo ripartire per pagare le tasse, i dipendenti. Chiediamo che venga anticipata la ripresa». Roberto Cincotta, che in via Pisani ha la sua trattoria, ha continuato: «Lo Stato dice che ci sta aiutando ma non ho ancora visto un euro. Intanto tra bollette e affitto come minimo ho pagato 10 mila euro». Mauro Gremolizzi, di Gm Antincendio Sicurezza, ha alzato la voce: «Conte si scusa per i ritardi, ma quando dobbiamo pagare i soldi ce li prendono dal conto corrente. Che lo Stato allora azzeri il modello F24 che continuiamo a onorare».
Il gestore della discoteca Joy, Davide, ha lanciato una sorta di appello: «Aprire per aprire non ha alcun senso commerciale, già prima dell’emergenza si faticava ad arrivare a fine mese. Con le misure restrittive e le spese fisse inalterate, mi chiedo come si possa guadagnare».—
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