I musicisti di strada zittiti da un bando medievale

Vietato suonare in strada: ne va di mezzo il decoro. Dopo le panchine segate da un assessore per dissuadere i senzatetto, e le multe tremende per la pipì del cane, il Comune allontana i musici molesti. Ecco cosa ne pensa il nostro Paolo Rumiz
TRIESTE.
Diavolo, credevo che le emergenze di Trieste fossero i giovani senza lavoro, la ferriera sempre più cancerogena, un rigassificatore che potrebbe far saltare in aria mezza città. Pensavo fossero i treni che non arrivano, gli arei che ci dimenticano, la rapina della Cosa Pubblica in atto qui come nel resto del Paese. Pensavo fossero lo sbracamento e il volgare incoraggiati dalla tv, che corrompono i nostri figli.


Invece no. Torno nella mia città, che ho troppo frettolosamente magnificato sulle pagine di "Repubblica", e scopro una cosa nuova. Ciò che le impedisce di vivere, prosperare e sentirsi sicura è la confraternita di coloro che esercitano il mestiere di "suonatore, cantante, cantastorie e similari", perché fanno scadere la qualità della vita e seminano paura. Non la mafia, gli spacciatori, i teppisti, i rapinatori o i magnaccia.


No, i suonatori ambulanti. Grandioso. Premetto di essere socio di tali categorie. Canto nelle osmizze, se possibile in compagnia, e quando la "cantada" riesce bene succede che dai tavoli qualcuno offra da bere, in una forma di pagamento non richiesto che da oggi magari diventa passibile di contravvenzione. E non basta, mi diverto a giocare al raccontastorie, anche in luogo pubblico, perché in questo mondo di carta truffaldina credo sempre meno alla parola scritta. Come tale rivendico una voce in capitolo. Che dire? Ci sono delle cose che non si possono definire né legalmente né moralmente.


La mia prof di tedesco usava in questi casi una parola simile alla pernacchia dei napoletani: "Eine Schweinerei". Una porcata. Non so come definire altrimenti questo bando medievale che toglie la musica dalle strade di Trieste. Che sia sudamericana, istriana, balcanica o napoletana non importa. Sembra uno scherzo e invece no. Prima scatta la diffida poi una multa salata. Insomma: tolleranza zero con "Il soldato innamorato", inflessibilità davanti a un sovversivo "Ti col mus e mi col tram". La mia prof aveva ragione: la questione non è legale.


Nel nostro caso è acustica. Il potere è di chi grida più forte e questa è una giunta che rimbambisce Trieste a suon di decibel di pessima qualità, senza riguardo all'identità culturale del luogo. È dunque naturale che non tolleri il canto libero, perché lo legge come disturbo al suo spadroneggiare nella gestione degli spazi, quelli pedonali specialmente.


L'assessore alla polizia urbana Sbriglia è bravissimo a organizzare spettacoli in carcere, gliene do atto, ma proprio per questo mi sa che una serenata sotto un balcone gli possa dare l'orticaria. Certo, ci sono i rompiscatole, quelli che insistono protervi per una mancia e non danno pace. Ma finora si è lasciato che a stabilire il limite fossero due frontiere: quella della pubblica quiete, attraverso l'intervento dei vigili urbani, e quella del mercato, che premia la buona musica e penalizza gli stonati senza bisogno di ordinanze punitive.


Questa è almeno la regola che vige a Roma, governata dal sindaco di destra Alemanno, il quale - avendo altre gatte da pelare - non si sogna di correr dietro alle farfalle. Ho passato un'estate infernale. Ogni notte, dall'una fino all'alba, una banda di sciamannati occupava il piazzale antistante la basilica di San Giusto (abito non lontano) per schiamazzare a squarciagola, rompere bottiglie e ubriacarsi. Ogni notte arrivavano ai vigili e alla polizia telefonate di protesta. Ma poco o niente veniva affatto. Lo stesso accadeva in mezzo centro urbano, proprio in quella che viene definita l'area pregiata di Trieste. Ogni notte urla, bottiglie, teppismi, fin sotto la questura e la centrale dei vigili urbani.


Su questo degrado non c'è freno, perché la macchina del consumo, che ne trae lauto guadagno, ha le maniglie giuste, e perché alla classe politica fa comodo una gioventù sballata che diserta l'impegno. Giro sempre meno in centro dopo una certa ora, non mi ci riconosco più. Sento altre voci, altri accenti. Mi sento uno straniero. È questo che genera insicurezza e spaesamento. Non la fisarmonica di Fabio Zoratti che spreme oceani di malinconia dalle canzoni dalmate o dei Balcani. È così chiaro. Si ripete la storia delle panchine di piazza Venezia, segate perché non si avevano le palle di sfrattare tre barboni. Questi tipi di intervento sono solo clamorose ammissioni di impotenza.


Pugno di ferro con i deboli e gli isolati, perché con i burattinai delle notti squallide dei nostri ragazzi non c'è coraggio né autorità di muovere un dito. Mandare i panzer contro le formiche è solo l'altra faccia di un lassismo indecente. Un modo, per dirla come Carpinteri e Faraguna, "per insempiar la gente". Mi avvertono ora che sarà il sindaco a decidere chi è artista e chi no, dunque chi potrà suonare e chi no. Non so se essere tranquillizzato da questo, ma propendo per il no. Di una cosa invece sono certo: questa giunta, a differenza del sindaco medesimo, è la stessa che ha orgogliosamente disertato il massimo evento musicale degli ultimi anni a Trieste, il concerto di Riccardo Muti in piazza Unità.


Come tale dovrebbe essere interdetta da ogni tipo di decisione sul tema. E anzi, condannata alla pubblica gogna per incultura e maleducazione. Alzi la mano chi crede davvero che Trieste, senza i musicanti, sarà più civile e sicura. Io dico solo che sarà più triste, e il suo frastuono notturno - che come abbiamo visto è di altra origine - resterà lo stesso. Succederà quello che succede sempre in Italia. Intransigenza per una settimana, poi, quando l'effetto del palliativo mediatico sarà esaurito, tutto come prima ma solo per i furbi. Una signora in piazza Hortis, leggendo il giornale, ha commentato: "Desso sparirà i artisti e resterà i conzapignate". Aveva ragione.


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