«I miei inverni prigioniero dei russi»

La testimonianza del goriziano centenario Attilio Assirelli tra gli eroici protagonisti dell’Armir
Bumbaca Gorizia 22.01.2013 Attilio Assirelli reduce Russia - Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 22.01.2013 Attilio Assirelli reduce Russia - Fotografia di Pierluigi Bumbaca

Nel campo di concentramento di Mordovia in Uzbekistan, l’artigliere Attilio Assirelli classe 1913, cento primavere il 15 settembre, ha resistito per quattro inverni; dal dicembre del 1942 al novembre del 1945. Quando è tornato nella sua Parma pesava 43 chili, ma era vivo e aveva voglia di vivere. Aveva viaggiato per oltre 10600 chilometri per tornare a casa dal campo a 250 chilometri da Mosca dove erano internati circa 20mila prigionieri. «In Russia eravamo come sepolti vivi, nessuno si occupava di noi. Solo dopo anni la Croce Rossa è arrivata e ha distribuito cartoline per mandare notizie a casa. Non a tutti però; uno ogni 10. Io sono stato fortunato; eccola l’ho conservata». La fame il freddo erano i tormenti della prigionia: «Soprattutto gli sbalzi di temperatura erano terribili», ricorda Attilio. «Stalin ci faceva lavorare in campagna, ma i russi non erano cattivi e un giorno con un compagno sono entrato in una izba dove una donna aveva appena sfornato il pane. Lo ha diviso con noi nemici, sporchi e affamati. Alla fame si aggiungeva il tormento della mancanza di sonno tranquillo. Solo una volta, durante una marcia, abbiamo visto una pagliaio, mi sono tuffato dentro e non avrei voluto più uscire da quel ventre protettivo». La sorte non ha avuto la mano leggera con Attilio che, prima della Russia, aveva già combattuto in Grecia nel 1941. «Almeno là si mangiava frutta colta dagli alberi e non era freddo». Dalla Grecia il ritorno fu più facile, attraverso l’Albania, da Valona e Brindisi su una nave che trasportava cavalli. Poi due giorni di tradotta per arrivare in caserma a Cremona dove dovette consegnare i gambali di cuoio ed ebbe in cambio le fasce di stoffa con le quali affrontò l’inverno russo. Attilio vive a Gorizia dal 1959. Il padre, di origine toscana, era minatore in Svizzera dove lui è nato. Allo scoppio della Grande guerra la famiglia rientrò in provincia di Firenze. «A 17 anni emigrai in Corsica per lavorare e rientrai per andare soldato. Dopo la guerra ho vissuto in molte città, dove c’era lavoro», racconta Attilio mentre brinda con succo di sambuco preparato da Teresa, la badante che vive con lui da 6 anni. «Mio figlio Giuseppe (indimenticato maestro della fotografia) era nato a Parma e mia figlia Rosanna a Genova». Gli occhi diventano lucidi ricordando i figli che, come la moglie Cesira, non ci sono più. «Quando Giuseppe è morto il dolore è stato di tutta la città, era un uomo dolce», aggiunge. Sul tavolo della sua casa di Sant’Andrea le croci al valore, le fotografie in divisa e i ricordi. Oramai sono pochi i testimoni in grado di raccontare come sono tornati dalla Russia.

Margherita Reguitti

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