I grillini delusi dal Palazzo invocano il «tutti a casa»
TRIESTE. «Una delusione profonda». Dopo venti mesi filati in Consiglio regionale Eleonora Frattolin non salva uno solo dei colleghi di piazza Oberdan, da Debora Serracchiani al più imboscato consigliere di opposizione. «In poche settimane impari il mestiere. Poi dipende dalla voglia di studiare e dall’impegno. Noi ci mettiamo tutto, gli altri vivacchiano» dice, disarmata prima che rassegnata, la capogruppo grillina a tempo.
A maggio Frattolin passerà il testimone. Tra le novità della presenza pentastellata a Palazzo c’è anche la rotazione al timone: ha iniziato Elena Bianchi, poi è stato il turno della consigliera pordenonese, a maggio toccherà a uno tra Andrea Ussai, Cristian Sergo, Ilaria Dal Zovo. Ci sarà una rapida votazione perché l’accordo è scritto dall’inizio: un anno per ciascuno nel corso della legislatura. «L’importante è non adagiarsi – sottolinea la capogruppo in carica –, bisogna portare sempre freschezza nelle riunioni con gli altri partiti».
La freschezza, a dire il vero, non è bastata. Non come gli alternativi al sistema speravano. «A un anno e mezzo dall’inizio del mandato la sensazione è che è meglio che se ne vadano tutti a casa. Come da programma: il nostro», sintetizza Andrea Ussai. «Chi ha portato il paese e la regione in simili condizioni di difficoltà dovrebbe lasciare il posto ai cittadini – insiste il consigliere triestino –. E invece ci ritroviamo a lottare in cinque contro un magma indistinto di 44 persone».
Davide contro Golia, ma in Consiglio non basta la fionda. Il Movimento 5 Stelle si sente tagliato fuori. «Si mettono d’accordo con la maggioranza – attacca Frattolin –. Non parlo solo del Nuovo centrodestra, anche di Forza Italia. Io ti faccio un favore, tu me lo restituisci. Fanno opposizione mediatica, la verità è che contrattano, cercano accordi, li trovano, li concretizzano».
Insomma, il Palazzo visto da dentro è più brutto di come se lo aspettavano. In cinque assicurano di aver provato a scalfire il moloch. Per primi hanno dato esempio sul fronte dei costi della politica. I consiglieri M5S si fanno bastare dal primo mese di Consiglio 2.500 euro netti e qualche centinaio di euro di rimborsi (rendicontati). I 375mila euro risparmiati fino all’ottobre scorso sono finiti nel Fondo per lo sviluppo delle Pmi. «Tutto questo mentre il Consiglio non andava oltre gli obblighi imposti dai decreti nazionali».
L’anno scorso, variazioni di bilancio, i grillini hanno provocato via emendamento invitando l’aula alla riduzione delle buste paga da 6.300 a 5mila euro e i rimborsi da 2.500/3.500 (la cifra più bassa per triestini e goriziani) a 2mila. La risposta dei 44 ha lasciato pochi dubbi: no grazie. Una battaglia persa. Come quella sul reddito di inserimento, su cui il movimento ha costruito una proposta di legge più di un anno fa. «Non l’abbiamo portata a casa, ma è un successo che almeno se ne parli», dice Bianchi.
Piccole cose, ammette l’ex capogruppo. Che non dimentica però anche le battaglie vinte, «i cassetti aperti, le denunce alla Corte dei conti, lo sportello per il cittadino all’interno della riforma degli enti locali, la riduzione da 15mila a 5mila delle firme necessarie per presentare leggi di iniziativa popolare». Per i 5 Stelle, partiti da Saverio Galluccio candidato alla presidenza (il promotore finanziario di Cervignano è stato indicato via selezione come caposegreteria), c’è poi la battaglia quotidiana con gli strumenti consentiti dal regolamento.
Il gruppo grillino ha messo in fila tra l’altro 4 voti alle Camere, 6 progetti di legge, 43 ordini del giorno, 18 mozioni e una petizione, oltre a una trentina tra interrogazioni e interpellanze. E adesso che si fa? «Non molliamo – assicura Frattolin – anche se abbiamo di fronte un governo e una maggioranza senza coraggio, capaci di grandi proclami e pochi fatti, nonostante il periodo richieda proprio il contrario». In sintesi, «Serracchiani è come Renzi».
Il guaio, prosegue, «è che si continua a coltivare il consenso elettorale e l’appoggio delle lobby, nessuno cerca di liberarsi le mani da quei vincoli. L’esempio lampante è una riforma delle autonomie che, a forza di limare e retrocedere davanti alle resistenze dei territori, è diventata poca cosa. Ma mancano anche risposte rispetto al programma elettorale sull’ambiente e la tutela del suolo». Il fattore inesperienza ha inciso? «No – garantisce ancora la capogruppo –, per fare il consigliere regionale è sufficiente aver voglia di studiare e di lavorare. In poco tempo abbiamo dimostrato una preparazione superiore a quella di vari eletti di lungo corso».
Quelli che, è l’ultima accusa, difendono il vitalizio (anche il loro). «Anziché toccare seriamente quel privilegio – dice Bianchi –, si limiteranno a ritocchi minimi e di breve durata. Non ci sentono, neanche su questo».
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