I giudici negano l’esame psichiatrico per Carannante
Nessuna perizia psichiatrica per Michele Carannante, 21 anni, residente a Duino, imputato per l’assassinio di Riccardo Degrassi, il portuale monfalconese morto il 19 gennaio 2013 - a 38 anni - per i colpi infertigli con due pesanti vasi di fiori e un contenitore in plastica per l’immondizia. Lo ha deciso, ieri mattina, il collegio della corte d’Assise presieduto da Giorgio Nicoli, con a latere Enzo Truncellito e gli otto giudici popolari.
A proporre la perizia psichiatrica sono stati i difensori di Michele Carannante, gli avvocati Elisabetta Burla e Giannantonio Milio. Il motivo del diniego, al quale si è associato anche l’avvocato di parte civile Giovanni Iacono, va ricondotto al fatto che Carannante non ha mai in precedenza avuto problemi psichiatrici e ovviamente nessuno specialista ha mai diagnosticato particolari stati mentali. Insomma, è stato così definito sano di mente e capace di intendere e di volere. Anche se durante la sua deposizione nello scorso mese di giugno aveva evidenziato una condizione particolare. Aveva più volte detto e ripetuto al pm Valentina Bossi: «Non so, non ricordo, ero drogato e ubriaco... ».
Da aggiungere poi che in una precedente udienza la psicologa Marina Valent che dal 2007 al 2010 aveva seguito Carannante «per cercare di aiutarlo a portare a termine gli studi», alla domanda se avesse avuto comportamenti autolesionistici o aggressivi nel periodo, aveva risposto: «Un pò verso terzi sì, non andava a scuola. Lavorava nel ristorante del padre, si dava da fare. Aveva le difficoltà di un adolescente che vive tutto molto in prima persona». E infine aveva spiegato come si fosse «sempre comportato bene» con lei.
Il collegio ha anche rigettato una seconda istanza dei difensori. Quella di sentire come testimone l’ex moglie della vittima. «È irrilevante», ha scritto in proposito il giudice Giorgio Nicoli non ritenendola, appunto, determinante. Le due decisioni del collegio fanno seguito alla deposizione di un amico di origine ucraina di Carannante avvenuta nell’udienza dello scorso 19 settembre. In quella occasione Oleg Karpenko, questo il nome del giovane ucraino, aveva riferito della frase pronunciata dall’imputato: «Mi sono picchiato con uno e l’ho lasciato lì a terra, a Panzano». Aveva spiegato poi che «Michele voleva contattare una ragazza. Voleva avere un rapporto sessuale con lei».
Ma c’è un altro elemento mai charito. Quello dei tre che quella notte secondo la deposizione di Carannante, l’avevano avvicinato, chiamandolo per nome e poi costretto a infierire su un corpo forse già senza vita che aveva la testa fracassata da un vaso di fiori. Gente che apparterebbe «a un giro di droga», così aveva detto l’imputato. Gli stessi, secondo quella deposizione, l’avrebbero obbligato a colpire la vittima, con minacce, prima con un coccio del vaso - «ma mi sono rifiutato» - e poi con un bidone di plastica per la spazzatura. Sulla schiena, vicino alla testa. «Uno aveva un berretto nero, barba incolta, orecchini e un tatuaggio tribale al collo. Parlava con accento del Sud e mi ha chiamato per nome “Carannante vieni qua”, però io non lo conoscevo». Parole queste che poi non hanno avuto alcun riscontro nell’udienza di ieri. Perché Carannante non ne ha mai fatto il nome. Anche ieri è stato zitto.
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