I genitori: «È malata, va soltanto aiutata»
«Qualche giorno fa aveva detto che avrebbe fatto un colpo ma non le abbiamo creduto»
«Romina è malata. Abbiamo fatto di tutto per aiutarla, invitandola più volte a farsi curare. Ma lei non ne vuole sapere. Le stiamo sempre vicino, soprattutto quando arrivano quelle crisi depressive». A parlare, tra le lacrime e una profonda sofferenza, è il padre di Romina Gordini, Amerigo, 63 anni, gestore di un locale a Grado. Con la morte nel cuore, pensando anche alle persone rimaste coinvolte ieri mattina nella rapina in corso Italia, cerca di far capire, con tutte le sue forze, che sua figlia è vittima del suo stesso male. La giovane gradese, un diploma di segretaria d’azienda, che ieri ha fatto incursione nella Banca di Roma-Unicredit di corso Italia, prendendo in ostaggio una dipendente tenuta sotto la minaccia di un coltello da cucina, quando rimane «intrappolata» nei suoi momenti bui diventa un’altra persona.
Sono momenti improvvisi, più o meno acuti, racconta papà Amerigo: «In quelle circostanze tutto cambia. Parla da sola, si chiude in se stessa. Odia i rumori, la televisione. Respinge il contatto con le persone». Fino a «piombare» nelle «ossessioni». Romina da qualche mese s’era «impuntata», spiega il padre. «Diceva di voler fare una rapina. Lo ha detto anche ieri (l’altro ieri, ndr). Naturalmente, non ci ho creduto. Ho cercato di distorglierla da quell’idea, che appartiene ad uno dei suoi momenti difficili. Mai infatti avrei pensato che potesse agire veramente». Per i familiari di Romina, i genitori con i quali la giovane vive, e un fratello di 37 anni, sposato, tutto è come un incubo dal quale vorrebbero svegliarsi. Papà Amerigo ricorda poi un altro particolare: Romina, da qualche tempo, voleva dotarsi di un’arma per difesa personale. Per questo voleva il porto d’armi. Che, evidentemente, considerata lo stato di salute della giovane, le è stato negato. I genitori avevano subito informato della situazione le istituzioni preposte. Il personale sanitario, ma anche i carabinieri.
«Ero sicuro - continua il padre - che non avrebbe ottenuto il porto d’armi. Sono circostanze difficili, più grandi di noi. Le forze dell’ordine non possono intervenire, in assenza di reato. I medici ci invitano nei loro studi. Ma Romina non ne vuole sapere. Finchè era minorenne, l’abbiamo portata ovunque. Abbiamo sempre cercato di avvicinare e informare tutte le istituzioni preposte possibili». E dire che, superati quei momenti, la giovane recupera la tranquillità. «Non è mai stata capace di azioni violente - aggiunge il padre -. È una ragazza intelligente, ci aiuta nel nostro locale». Un «calvario» per i coniugi Gordini dover gestire una malattia così insidiosa. È un po’ come camminare lungo una fune. Come cercare, esemplifica l’uomo, di far capire a chi abusa di alcol di esserne dipendente.
I problemi si sono affacciati quando Romina frequentava l’istituto Cossar di Gorizia. In classe ebbe un giramento di testa e cadde a terra. Fu l’inizio di una lenta ma progressiva convivenza familiare difficile. Fatta di richieste di aiuto e di tentativi di cure. Ieri mattina, alle 7, papà Amerigo ha notato la luce accesa in casa. La madre è scesa per cercare la figlia. Romina non c’era. I genitori hanno pensato che la giovane fosse andata a Udine, come faceva ogni tanto. Invece Romina aveva preso la bicicletta per raggiungere la stazione delle corriere, dov’è salita su un mezzo pubblico per recarsi a Trieste. I familiari ieri si sono precipitati dagli inquirenti. «Anche a loro - conclude Amerigo - ho spiegato la situazione. Mia figlia non è mai stata pericolosa».
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