I “furbetti della tazzina”: a Cattinara con l’autobus solo per bere il caffè

Varie segnalazioni sull’affluenza non regolamentare nell’unico  esercizio pubblico aperto in città E la Cisl denuncia la mancanza  di protezioni per il personale
L'ospedale di Cattinara
L'ospedale di Cattinara

TRIESTE L’unico bar aperto della città, quello dell’ospedale di Cattinara, in questi giorni di lockdown attira più di qualche triestino. Non è un caso che gli autobus che gravitano in quella zona risultino tra i più frequentati, tanto da indurre la Trieste Trasporti a potenziare la linea. Tra i passeggeri che si recano per ragioni sanitarie e per lavoro non manca anche qualche “furbetto della tazzina”.

Coronavirus, bar e ristoranti in ginocchio a Trieste: «Perso il 40% degli incassi»
Tavolini in un bar semideserto


D’altronde i provvedimenti del governo consentono l’apertura dei pubblici esercizi nelle strutture sanitarie. E c’è chi ne approfitta: peraltro non solo a Trieste, come scoperto a Udine con la coppia che si aggirava nell’ospedale friulano solo per prendere il caffè. Nel capoluogo i controlli delle forze dell’ordine a bordo dei bus stanno dissuadendo i cittadini a trasgredire le regole, ma nel bar di Cattinara la presenza di persone esterne all’ospedale continua. E questo mette in difficoltà gli stessi addetti al servizio bar, dipendenti della “Serenissima”. La società di Vicenza ha in appalto l’intera ristorazione di Cattinara e del Maggiore, quindi anche i pasti per i degenti e la mensa per gli operatori sanitari.

«L’azienda ha attivato tardivamente le procedure di protezione individuale – premette Andrea Blau, segretario provinciale Fisascat-Cisl e componente della segreteria regionale –, a cominciare proprio dalla fornitura delle mascherine. Ma per quanto riguarda il bar non c’è alcuna forma di controllo. In questo periodo di emergenza l’ingresso dovrebbe essere limitato a medici, infermieri e oss: quello non può essere il bar dei triestini che vanno a bere il caffè, perché così si aumenta il rischio del contagio esponendo i dipendenti, sia quelli sanitari che della ristorazione, a un pericolo. Noi non chiediamo la chiusura, ma un monitoraggio. Anche perché spesso non è nemmeno assicurata la distanza di sicurezza, come ad esempio avviene nelle file ai supermercati. Sono gli addetti al bar che si adoperano per questo».

Ma i problemi di sicurezza segnalati dal sindacato vanno ben oltre. E investono anche la sanificazione degli ambienti in cui opera il personale del servizio pasti. «Da quanto ci risulta – rileva ancora il segretario provinciale della Fisascat – al Maggiore non è garantita la pulizia dei carri utilizzati per la distribuzione del cibo nei reparti, per quanto i percorsi all’interno dell’ospedale siano ben definiti. Mancano inoltre i prodotti per la pulizia. Lo stesso bar di Cattinara non è stato sanificato».

Preoccupazione pure sul fronte contrattuale. «La Serenissima, che in Italia gestisce vari appalti, a Trieste ha ridotto gli orari di lavoro», incalza Blau. «È stata attivata la cassa integrazione: i dipendenti stanno a casa a rotazione, con conseguente diminuzione degli stipendi. C’è una scopertura salariale del 20% sulle ore non lavorate». A ciò si aggiungono le criticità sugli straordinari. «L’accordo, che la nostra sigla contesta, prevede che le ore in più non vengano retribuite, ma recuperate facendo stare a casa le persone. Tutto questo sta creando preoccupazione tra i dipendenti».

Il sindacato lamenta tensioni simili all’Area di Ricerca. «L’attività è praticamente ferma. Quindi il servizio mensa, gestito dalla Elior, è ridotto all’osso con ripercussioni sul personale». —




 

Riproduzione riservata © Il Piccolo