I “cosacchi” dei Balcani nel mirino dei pm
BELGRADO. Una “quinta colonna” di fedelissimi al Cremlino, operativa nei Balcani, formata da una cinquantina di ex paramilitari, mercenari, nazionalisti indigeni e russi, pronta a sostenere operazioni sospette, forse anche violente, per destabilizzare il Montenegro. È questo il sospetto che ha spinto la magistratura di Podgorica ad aprire indagini preliminari sulla cosiddetta “Balkanska kozacka vojska", l’«esercito cosacco» nei Balcani, nell’ambito di una più ampia inchiesta sul presunto golpe a Podgorica che, nei giorni delle elezioni parlamentari, sarebbe stato organizzato per rovesciare il premier europeista Djukanovic.
Cosacchi nei Balcani nel 2016? Per cogliere i contorni della vicenda occorre fare un passo indietro, a settembre, quando a Cattaro hanno marciato alcune decine di persone in alte uniformi, sulle maniche lo stemma cosacco. Erano affiancati da cosacchi in arrivo dalla Russia e da pugno di autentici “Lupi della notte”, i biker filo-Putin. Ad accoglierli il pope serbo-ortodosso Momcilo Krivokapic, che ha celebrato una funzione - il video è ancora su YouTube - per suggellare la nascita della “Kozacka vojska” balcanica, formazione costituita in gran parte da serbi e montenegrini che vedono nei cosacchi un baluardo nella difesa dei valori occidentali, identificandosi in loro. Insomma non cosacchi “etnici” ma d’elezione, quelli balcanici.
Il trait d’union, militarismo, religione ortodossa e il motto «sempre con la Russia, mai contro la Russia», come ricorda il sito del Centro cosacco montenegrino “Sveti Petar Cetinski”. Altri obiettivi? Non specificati, a parte quello di «lottare contro l’ingresso di Podgorica nella Nato», hanno promesso a Cattaro.
Solo un pittoresco manipolo di ultranazionalisti? Qualche dubbio c’è, come conferma l’apertura delle indagini. A far crescere i sospetti, la presenza a Cattaro anche di un inviato dei paramilitari del “Consiglio dei volontari del Donbass” (Dnd). Il numero uno dell’Armata cosacca è invece l’atamano Viktor Zaplatin, leader cosacco e cittadino russo. E anche lui mercenario che ha combattuto in Bosnia, Transnistria e Abkhazia. Che si tratti di folkloristici filorussi o di veri paramilitari lo verificherà ora la magistratura, impegnata ora a scoprire se il gruppo abbia avuto contatti con altre figure che avrebbero «pianificato falliti attentati» nel Paese a ridosso delle elezioni, ha rivelato ieri la stampa di Podgorica.
A confermare il quadro investigativo è stato giorni fa anche il quotidiano russo Novaya Gazeta, che ha descritto i “cosacchi” nei Balcani come un gruppo che difende gli interessi di Mosca nella regione, manipolo di comprimari vicini a «ex operativi», mercenari serbi e russi che hanno combattuto in Ucraina, e avrebbero avuto un ruolo in un piano per destabilizzare Podgorica. Fra questi il serbo Aleksandar Sindjelic, uno fra i 20 arrestati per il presunto fallito golpe, e con strettissimi contatti con Il Dnd, ha confermato la Gazeta. Altro punto di contatto: Leonid Reshetnikov, ex generale dei servizi russi e direttore dell’Istituto per gli studi strategici, falco vicinissimo al Cremlino, rimosso dalle funzioni dopo il voto in Montenegro, ha svelato ieri il Guardian.
Reshetnikov, nei giorni precedenti al voto, aveva ricevuto nel suo studio a Mosca una folta delegazione. Quella dei cosacchi balcanici. Solo un caso? Lo diranno gli investigatori montenegrini, che già giorni fa avevano parlato di coinvolgimento di «nazionalisti russi» nel putsch. «Non abbiamo alcuna prova che lo Stato russo sia immischiato in tale vicenda, ma abbiamo prove» che il piano era di «ostacolare il Montenegro sulla strada dell’integrazione euroatlantica», ha dichiarato il procuratore speciale Milivoje Katnic. Parole che oggi suonano profetiche.
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