I candidati anti Ferriera travolgono i possibilisti

Otto aspiranti sindaci su undici predicano la chiusura dell’area a caldo. Menis: «Aria nuova». Cosolini: «Dipende dai dati». Dipiazza: «Tema delicato»
La Ferriera di Servola
La Ferriera di Servola

TRIESTE Augurarle sotto elezioni cento di questi giorni sarebbe tafazziano. E infatti nessuno ci pensa neanche stavolta. La chiusura dell’area a caldo è la bandiera di tutti. Per alcuni è un’extrema ratio, per molti il minimo che si possa fare. Il conto esatto fa otto favorevoli già in partenza a staccare la spina, quanto meno a cokeria e dintorni, e tre possibilisti in base ai dati ambientali (Cosolini, Rosolen e Furlanic). Guardando però ai precedenti degli ultimi 15 anni almeno (tra comunali e regionali le dichiarazioni di guerra si erano sprecate, salvo mai sfociare in applicazioni all’altezza degli annunci) vien da dire che anche stavolta la Ferriera ha le sue chances di restare lì ancora per un po’. Il recente mea culpa di Dipiazza per quanto non fatto nel suo mandato-bis, dopo aver dato scacco a Rosato nel 2006 con i voti dei servolani, insegna.

Ferriera, sindacati in pressing sui candidati sindaco
Operai al lavoro in Ferriera

Si badi, il grado di avversità alla fabbrica più strumentalizzata della città non è più tanto una questione di destra o sinistra. Da Un’altra Trieste Popolare Alessia Rosolen evoca ad esempio la chiusura dell’area a caldo solo in caso di necessità, mentre da Sinistra per Trieste Marino Sossi rinfaccia all’amministrazione Cosolini di non averla compiuta disattendendo gli impegni di cinque anni fa. Ora, piuttosto, tale avversità trionfa al di fuori del partitismo classico, tra civiche indipendenti e cinquestelle.

Il confronto tra le posizioni degli 11 candidati sindaco sul “che fare” della Ferriera è la prima puntata di una serie di analisi sui programmi che il Piccolo proporrà da qui al 5 giugno. I contrari più ortodossi allo stabilimento, come detto, rappresentano le civiche extrapartiti, oltre che il Movimento 5 Stelle. Lo slogan in testa al programma del candidato grillino Paolo Menis, che accetta comunque l’invito al confronto dei sindacati, è «aria nuova»: «la situazione di Servola è insostenibile a causa della Ferriera». Ergo «l’obiettivo del M5S», che «si impegna a fermare o limitare la produzione a fronte degli sforamenti oltre il limite di legge», «è chiudere l’area a caldo». Per Menis è ora di «ordinanze restrittive», di «revisione dell’Aia», di «ridiscussione degli accordi di programma» e pure di «diffusione» di nuove «centraline di rilevamento degli agenti inquinanti». E Roberto Dipiazza? Ammette che «nella sua precedente veste istituzionale è stato da sempre favorevole alla chiusura dell’area a caldo, avendo effettuato molti tentativi senza peraltro riuscirvi, anche a fronte delle esigenze dei lavoratori... ora ridotti a meno della metà», e rimprovera a Cosolini che, «con i dati ambientali in possesso da alcuni mesi», avrebbe potuto limitare «immediatamente la produzione della ghisa con un’ordinanza». «La questione della Ferriera è quindi un tema delicato», mette le mani avanti Dipiazza, confermando «pur tuttavia la volontà di giungere in tempi brevi alla chiusura dell’area a caldo».

Per Roberto Cosolini, invece, spegnere l’interruttore dell’area a caldo non è uno scenario segnato. «Dalla verifica dell’efficacia degli investimenti sulle emissioni dipenderà la prosecuzione o meno», appunto, «dell’area a caldo, mentre sono stati garantiti allo stato attuale non solo la continuità produttiva ma anche l’avvio del laminatoio e l’ampliamento del traffico marittimo», recita il suo programma, in cui si sostiene di rimando che «l’industria è d’importanza strategica per la crescita del Pil e dell’occupazione» e che «la presenza industriale nella nostra città dipenderà anche da quale sarà lo sviluppo della Ferriera», e in cui si propone un patto sociale: «Ora che sono partiti investimenti importanti, le istituzioni, l’impresa, i sindacati ed i cittadini devono trovare una coesione nel supportare il progetto... su basi industriali sostenibili». Alessia Rosolen, qui, pensa come detto a «soluzioni attuabili, non slogan e facili illusioni», e quindi a «un monitoraggio costante dei parametri» e anche a «interventi puntuali per limitare la produzione dell’area a caldo». Che «sarà opportuno limitare o chiudere definitivamente... qualora i sistemi di filtraggio non funzionassero». Un’opzione definita «possibile» da Iztok Furlanic per Sinistra Unita, «ove dimostrato che non sia riducibile la situazione di inquinamento». In quel caso, però, per il candidato comunista la bonifica deve essere celere «per evitare un’altra Aquila» e va «prevista la ricollocazione immediata dei lavoratori nella rimanente struttura».

Dal possibilismo di Rosolen e Furlanic alle certezze di Marino Sossi, secondo cui «l’aquisto della Ferriera da parte dell’imprenditore Arvedi rappresenta un fatto importante, in controtendenza alla crisi del settore». Ma non basta perché «è necessario recuperare l’impegno per la riconversione su cui si era impegnato il centrosinistra senza realizzarlo nelle elezioni precedenti» e «armonizzare lo sviluppo dell’area logistico-portuale e delle nuove lavorazioni a freddo» con «una chiusura programmatica dell’area a caldo». Da qui non si scappa. E i civici, in particolare, non transigono. Fabio Carini di Start Up è lapidario: «La Ferriera va chiusa completamente ad ogni costo anche senza riqualificazione» perché «la salute di tanti è prioritaria sul lavoro di pochi che, in ogni caso, vanno avviati verso altre occupazioni». Per i candidati filoindipendentisti la ricetta si fonda sulla franchigia portuale. Nicola Sponza prefigura la fine dell’area a caldo «perché comporta lavorazioni incompatibili con un insediamento urbano»: i lavoratori «potranno trovare ricollocazione» tra «attività logistiche e industria leggera» riferibili «al nuovo terminal e al retroporto». Giorgio Marchesich del Fronte per il Tlt parla di «chiusura della Ferriera con immediato reintegro di tutti i lavoratori negli enti pubblici» e di «istituzione di un nuovo grande terminal sulle banchine di Servola... in modo da creare migliaia di posti di lavoro». Per Vito Potenza «la Ferriera va chiusa definitivamente» e al suo posto va rilanciato «il progetto Amem», che «creerà più di 1.500 posti di lavoro». Cos’è? «È un progetto austriaco, non europeo, che lo Stato e la Regione ignorano volutamente» e che «metterebbe in discussione l’off-shore di Venezia». Il re della sintesi è Maurizio Fogar. Per lui basta la parola, o meglio il nome della sua lista: «No Ferriera, sì Trieste».

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