I 25 anni della Slovenia, indipendente ma divisa

La spaccatura profonda che permane fra progressisti e conservatori riflette le differenze fra città e aree rurali. E Janša guida la “controcelebrazione”
Le bandiere slovene ed europee sventolano a Lubiana
Le bandiere slovene ed europee sventolano a Lubiana

LUBIANA È qui la festa? Lubiana è imbandierata. Oggi si celebra il 25esimo anniversario dell’indipendenza. Si ricorda un sogno che è diventato realtà con soli 10 giorni di guerra. Il “versante soleggiato delle Alpi”, come ama autodefinirsi la Slovenia, non è diventato la “Svizzera dei Balcani”, ma ha saputo lo stesso ritagliarsi una propria posizione all’interno dell’Unione europea e gioca da protagonista anche nella diplomazia internazionale, prova ne è la visita del prossimo 30 luglio del Presidente russo Vladimir Putin che rompe così l’assedio dell’embargo comunitario dopo i fatti ucraini.

Gli sloveni sono fieri della loro indipendenza. Un sondaggio ha rivelato che il 63% si dice orgoglioso di questi 25 anni, mentre il 33% “boccia” il percorso fin qui compiuto. Ma attenzione: più del 50% degli interpellati sostiene che la vita è peggiore oggi rispetto alla “convivenza” in Jugoslavia. Solo il 15% afferma che ora si vive meglio. Insomma chiaroscuri di un Paese che è letteralmente scappato dal passato verso il suo futuro in Europa, ma che ha pagato, come tutti, una pesante crisi socio-economica e uno scontro politico interno che ha visto partiti nascere, governare e sfiorire in pochi anni per poi scomparire. Che vede al governo una formazione quasi “civica” guidata da un tecnocrate e che proprio in questi giorni ha toccato il minimo storico di gradimento da parte degli elettori. Al suo interno si vive una profonda spaccatura politica con i progressisti da una parte e i conservatori (leggi Sds di Janez Janša) dall’altra. La Slovenia delle città contro la cattolica Slovenia delle aree rurali, quelle dove la campagna elettorale si fa dal pulpito delle chiese.
Il risultato: nonostante l’importante appuntamento del 25esimo ci saranno due cerimonie separate. La prima stasera, ufficiale, con la presenza dei capi di Stato di Italia, Germania, Ungheria, Austria e Croazia. La seconda domani, in trg Republike (piazza della Repubblica) organizzata dal centrodestra e capitanata dall’immarcescibile Janša, primo ministro della Difesa della Slovenia indipendente, il ministro con la mimetica e la pistola che affabulava gli inviati di mezza Europa.

Il vero padre della patria resta sempre lui, Milan Kucan, primo presidente del Paese sfuggito dalle maglie jugoslave, il “piccolo grande uomo” di Lubiana, il quale parlando a Velenje davanti ai veterani della guerra d’indipendenza del 1991 ha voluto ribadire con forza i valori europei, ma ha anche ammonito: «Pretendiamo - ha detto - la sottoscrizione di un patto con il quale l’Unione europea confermi la propria unità e la fedeltà a quei valori che hanno dato vita alla fratellanza europea». «Con questo patto - ha proseguito - pretendiamo tolleranza zero contro i simboli della fascistizzazione delle società europee. Invito a questo patto anche i giovani, ne va del loro futuro». Poi un altrettanto forte richiamo alla responsabilità nazionale. «Ora da un quarto di secolo viviamo nel nostro Stato. Con lo Stato abbiamo ottenuto le armi con le quali siamo diventati responsabili del nostro destino. Non possiamo più riversare questa responsabilità ad altri soggetti e nasconderci dietro le decisioni prese da altri».

Il Presidente della Repubblica Borut Pahor ricorda invece che la cosa «più bella dell’indipendenza è stata nel fatto che ha unito la gente e non l’ha divisa». «Il processo della primavera slovena - ha poi precisato Pahor - ha ottenuto il suo primo successo con le elezioni democratiche e quindi con il giuramento del primo governo di Demos (primo esecutivo di unità nazionale) e il suo programma. La meta di questo programma era la creazione di uno Stato indipendente. Se questa fosse stata la meta di una sola parte della nazione - ha concluso il presidente - c’è da chiedersi se e quando questo sarebbe stato raggiunto».

A fare appello all’unità di oggi è Miro Cerar, il premier che la “doppia celebrazione” proprio non l’ha digerita. «Sono assolutamente convinto - ha affermato - che questa festa dobbiamo viverla tutti insieme in un’unica cerimonia. Anche se non la pensiamo tutti allo stesso modo, rimaniamo in questo momento uniti per dimostrare rispetto alla nostra indipendenza e agli altri momenti importanti della nostra storia». Parole destinate a cadere nel vuoto, con Janša, Peterle e soci pronti alla propria “contro celebrazione”.
Una cosa resta però certa: la “vecchia” Europa ha bisogno come il pane della linfa giovane di questi Stati appena nati. Buon compleanno Slovenia.
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo