«Ho ricevuto minacce di morte dopo l’uccisione di don Rocco»
«La voce di un uomo al telefono mi ha detto “ti ammazzo” e poi lo ha ripetuto “ti ammazzo”. Adesso ho paura. Chi ha ucciso monsignor Rocco, potrebbe anche uccidere anche me».
Le parole, pronunciate con un filo di voce, sono di Eleonora “Laura” Dibitonto, 72 anni, l’assistente volontaria del religioso strangolato nella sua stanza alla Casa del clero in via Besenghi. Ieri è stata interrogata come testimone dal pm Matteo Tripani, il magistrato titolare del fascicolo. E sempre ieri si è diffusa la notizia di un indagato ma è stata smentita decisamente dagli inquirenti.
Eleonora “Laura” Dibitonto è la testimone-chiave dell’omicidio. È lei che ha trovato il corpo ancora caldo di monsignor Rocco attorno alle 7.30 del mattino del 25 aprile. È lei che ha subito dato l’allarme chiamando il 118 e precipitandosi nel giardino davanti alla casa per aprire con il telecomando il pesante portone metallico facendo così entrare i soccorritori. È lei che dopo qualche giorno si è accorta che l’assassino aveva preso la catenina che l’anziano sacerdote teneva sempre al collo.
Nella Casa del clero quella terribile mattina c’era una terza persona, don Paolo Piccoli, un sacerdote originario dell’Aquila. Subito dopo il fatto don Paolo è accorso nella camera del sacerdote. E poi, quando il medico ha detto che monsiglior Rocco era morto, ha benedetto il corpo.
Eleonora, che viene chiamata con il nome di “Laura” da molti anni, racconta ancora delle minacce che sono giunte proprio quando il pm Matteo Tripani ha disposto la sospensione dei funerali per consentire l’autopsia che poi ha evidenziato le cause della morte: la frattura della laringe. Dice: «Non ricordo la data esatta. Era il giorno in cui si è saputo della sospensione dei funerali. È successo attorno alle 15. Era la voce di un uomo che parlava in italiano, senza particolari cadenze....».
Poi racconta di quando ha trovato il corpo del sacerdote riverso sul pavimento. Dice: «Ero in giardino ad aspettarlo per accompagnarlo nella chiesa di Santa Teresa del Bambino Gesù. Non arrivava, ho guardato verso la finestra della sua camera e ho visto le persiane ancora abbassate. Solitamente monsignor Rocco si alzava verso le 5.30. Sono salita fino alla stanza. La porta era aperta e monsignore era riverso sul pavimento. Era sulla destra rispetto al letto, rannicchiato. Gli ho toccato il viso per vedere se reagiva. Ma era immobile. Il corpo era caldo, era appena successo».
Si ferma nel suo racconto. Il pensiero è al pericolo che ha corso. «L’assassino - sono convinta - era ancora lì dentro, nella casa. Mi vengono i brividi. Per me monsignor Rocco era come un padre. Non capisco come si possa uccidere un anziano prete che pesava appena 55 chili, era cardiopatico, aveva il pacemaker, portava gli apparecchi acustici perché debole di udito e non vedeva dall’occhio destro. Non so chi possa aver avuto l’interesse...». Aggiunge: «Ora vivo nel terrore. Mi può succedere qualunque cosa anche per strada. L’ho detto ai carabinieri ai quali ho presentato una denuncia».
Poi parla della sera prima dell’omicidio. «Quella sera non aveva cenato, così è venuto a casa mia. Dopo mangiato abbiamo guardato il telegiornale e poi l’ho accompagnato alla Casa del clero. L’ho salutato dicendogli che, come tutti i giorni, sarei tornata il mattino seguente per prenderlo e accompagnarlo alla messa. Era da 5 anni che facevo la sua assistente. L’avevo conosciuto molti anni fa, quando era un giovane prete. Al mattino lo andavo a prendere e lo accompagnavo in chiesa e quindi di nuovo alla Casa. Attorno alle 17.30 tornavo in via Besenghi. Era un grande uomo, di profonda umanità. Dopo la sua morte violenta gli altri sacerdoti e i laici non mi parlano più. Mi hanno emarginata, messa da parte...».
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