«Help imprese»: a Monfalcone decine di negozi con l’insegna accesa

MONFALCONE Attenzione a dire che al massimo entro giugno si riparte tutti. Perché per chi ancora non l’avesse capito, ci sono settori del commercio, non fiorenti per una concomitanza di cause tra cui pure motivazioni estranee al Covid-19, come per esempio la concorrenza spietata dello shopping crescente sulle piazze virtuali, che da questa tartassata non si riprenderanno mai. E più i giorni di chiusura si allungano, più la crisi lascerà, metaforicamente, una scia di sangue dietro sé.
Per questo motivo, l’altra sera alle 21, si è levato alto, e pure solidalmente compatto, il grido d’allarme di commercianti e artigiani anche a Monfalcone, dove decine e decine di titolari di botteghe e saloni, più o meno grandi, più o meno storici, più o meno centrali, hanno aderito all’iniziativa nazionale delle insegne accese, mobilitazione silenziosa che ha avuto per protagonisti ristoratori, baristi, parrucchiere, estetiste e numerosi gestori di negozi di abbigliamento, calzature e intimo, messi a dura prova dal lockdown.
Tutti vogliono tornare a lavorare, in sicurezza: questo il messaggio. Tra gli altri hanno illuminato le vetrine, in centro (ma non solo): Sartori, Intimissimi, Made in Italy, Caffè Roma, Brocante, Geox, Cernigoi, Hair chic, Studio 19, Vitigno, Mon petit cafè, Scandalo, Tato e Tata, Eden Style, Boutique Gina, Estetica Mgm e A Casa di Lory. Una parte dei negozianti, al termine del flash mob, è confluita in piazza della Repubblica, dove c’erano tre rappresentanti del Comune a illuminare il municipio in segno di solidarietà: il vicesindaco Paolo Venni, l’assessore al Commercio Luca Fasan e quello alla Vivibilità Massimo Asquini, con tanto di cartello “Help imprese, l’amministrazione è con voi”. Una gazzella dei carabinieri, in ordinario pattugliamento del territorio, è prontamente intervenuta per verificare che la misura del distanziamento sociale fosse rispettata in quel frangente, ma i militari non hanno avuto nulla da eccepire.
«Chiusure così prolungate rappresentano per un esercizio commerciale un grosso problema e incidono molto dal punto di vista finanziario, poiché vi sono costi di mantenimento dell’attività che proseguono nonostante le serrande abbassate», il commento, il giorno stesso dell’iniziativa, del vertice Ascom Roberto Antonelli. «Da imprenditore vorrei aprire subito il negozio – ha proseguito –, ma d’altro canto, come cittadino, ci penso due volte, per i miei familiari. L’auspicio è che lo Stato intervenga con contributi a fondo perduto, perché c’è bisogno di avere liquidità». Già un primo segnale d’allarme era stato veicolato sotto forma di video, diretto al premier Giuseppe Conte, con l’appello della categoria al riavvio.
Più si rinvia l’apertura e più si possono configurare, a detta degli imprenditori, criticità nella gestione dei servizi da erogare. Già adesso si notano file che sfociano per decine di metri sul marciapiede, davanti ai rari negozi aperti. «Questo perché negli esercizi al di sotto dei 40 metri quadri entrano, per gli obblighi del distanziamento, solo il gestore, due collaboratori, e un cliente». «Inevitabilmente – ha chiarito Antonelli – si dovrà operare su appuntamento e consiglierei a tutti di adottare la vendita on line, via Skype o WhatsApp. Saremo giocoforza costretti a ripensare da capo la gestione del negozio, perché chissà per quanto dovremo convivere con il coronavirus».
«Si renderanno necessari sacrifici: lavorare tante ore di fila, sempre con guanti e mascherina, e anche d’estate non sarà semplice – ha concluso il presidente Ascom –. Ma penso pure alla diversa organizzazione del lavoro. Ad aperture in orari prolungati o serali, a fasce particolari e diversificate, al bisogno di attrezzarsi con il delivery, andando a casa del cliente». Ne andrà della sopravvivenza. Economica. –
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