«Ha venduto la casa di Fiume per portarci a New York»
GRADISCA. William Klinger stava progettando il suo futuro negli Stati Uniti: a New York voleva portare la sua famiglia, ovvero la moglie e il figlio più piccolo. Per stabilirsi nella Grande Mela aveva pensato di acquistare un appartamento. Proprio da colui che successivamente sarebbe diventato il suo assassino, l'americano di origine croata Alexander Rudolph Bonich.
Per finanziare l’acquisto della casa in Usa, il 42enne ricercatore gradiscano aveva già veduto un immobile appartenuto alla sua famiglia a Fiume, in Croazia.
È questo il principale retroscena, fornito dai familiari di Klinger, che può spiegare meglio (anche se solo parzialmente) la circostanze nelle quali è maturato il delitto: un affare immobiliare finito male.
La moglie della vittima, Francesca Boscarol, chiusa nella sua casa di Gradisca, non ha voglia di parlare. «Spero solo non sia necessario seguire le indagini a New York, sarebbe straziante» si limita a dire.
La donna affida ad uno dei migliori amici del marito, l'assessore comunale David Cernic, il compito di fare da portavoce della famiglia.
Klinger, si è ancora saputo ieri, aveva trovato in Bonich, studioso come lui, una sorta di “testa di ponte” per sistemarsi nella Grande Mela, avendo buoni contatti in vista di un incarico all'Hunter College: un rapporto di collaborazione, quindi, che sembrava ormai consolidato.
I due, sempre a quanto riferisce la famiglia, si erano accordati per l'acquisto di un appartamento di Bonich. Forse proprio quello stesso appartamento al civico 25/66 della 42esima strada in cui risiedeva il killer. Un alloggio in cui la vittima verosimilmente ha anche dormito, perlomeno negli ultimi giorni prima del delitto.
Secondo la polizia di New York, come riporta il sito Dna.info, lo storico di origine fiumana sarebbe stato ospitato da Bonich dopo avere alloggiato sino a mercoledi scorso dall'amico Mijo Mirkovic, nel New Jersey, in un’altra zona della metropoli, lontana dal Queens.
Ma non è tutto: secondo quanto lascia trapelare all'esterno la famiglia di Klinger, lo studioso avrebbe effettuato un primo bonifico a Bonich già prima della partenza per gli States. «Questo è tutto ciò che risulta» commenta Cernic. Ed è una versione differente da quella della polizia americana, il Nypd, secondo cui vittima e carnefice «erano d'accordo per l'acquisto di un immobile in Italia».
Di sicuro, un accordo c'era. Un’intesa che poi è improvvisamente saltata sino al drammatico epilogo. «Cosa sia successo – riflette Cernic - è molto difficile da comprendere. Di certo William non aveva la stoffa dell'immobiliarista. Anzi, per come lo conosciamo a Gradisca, con queste cose non aveva alcuna dimestichezza. Nè la malizia dell'affarista. Temo si sia affidato a una persona sbagliata, a qualcuno che evidentemente lo ha tradito. Per quale ragione e se vi siano altri retroscena, questo la famiglia lo ignora».
Quanto al particolare, fornito da Alexander Bonich, secondo cui sarebbe stato Klinger a presentarsi con la pistola all’Astoria Park, il migliore amico dello storico è netto nel non voler vedere infangata la sua memoria. «Chiunque conosca William sa che non è mai stato un violento. Neppure verbalmente. Non credo proprio sapesse utilizzare un'arma da fuoco, non scherziamo».
Si rafforza quindi l’ipotesi dell'affare finito male, mentre non trova conferme la pista dell’esecuzione legata agli studi e alle posizioni scomode e a volte audaci di Klinger sull'Ozna, la polizia segreta della Jugoslavia di Tito.
«William in tutti questi anni si spostava regolarmente in tutti i Balcani – aggiunge Cernic – e mai mi ha confidato di sentirsi in qualche modo minacciato o in pericolo. Anche nella nostra cittadina girava liberamente, frequentava persone di tutti i tipi senza il minimo filtro. Faceva le cose alla luce del sole, era un tipo estremamente diretto. No, qui è successo dell’altro».
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