«Ha scritto dei capolavori», «Sì ma qui che c’azzecca?»: L’omaggio al Vate divide i protagonisti della cultura

Magris e Rumiz entrano nel merito del valore letterario e del ruolo politico. Reggio cita Carpinteri e Faraguna. E i Pupkin rivalutano Nando Orfei e Alì  

TRIESTE C’è chi, come il germanista Claudio Magris, non condanna l’operazione, invitando a riconoscere l’alto valore di una parte della sua produzione letteraria. Chi al contrario, come il giornalista Paolo Rumiz, la boccia su tutta la linea, ricordando i misfatti compiuti dal vate durante la guerra. E chi ancora, dal giallista Heinichen agli attori Reggio e Mizzi, non riesce invece a mettere a fuoco il senso di una simile scelta, visto il labilissimo legame tra il poeta e la città di Trieste. Insomma la decisione di dedicare una statua a D’Annunzio in piazza della Borsa, divide i protagonisti del mondo della letteratura e del teatro.



«A me dei monumenti non me ne può importar di meno, a meno che non sia Michelangelo a farli - commenta Magris -, ma in questo caso il problema non è la statua, ma avere un giudizio chiaro e onesto su D’Annunzio che, pur avendo scritto tantissime cose anche illeggibili, è autore di alcuni capolavori riconosciuti da tutti e destinati a restare come pochi». Lo scrittore ammette che non storcerà affatto il naso quando, passando in piazza della Borsa, vedrà la riproduzione del vate seduto su una panchina intento a leggere.

«D’Annunzio e Pasolini - osserva - sono stati, in forme molto diverse, entrambe con aspetti talvolta inaccettabili, i due poeti che hanno capito sulla loro pelle le trasformazioni antropologiche che avvenivano nella gente, nel rapporto con la natura, in quello tra poesia e denaro. Sono poeti con i quali bisogna fare i conti, piacciano o meno. Il D’Annunzio di Fiume – valuta Magris – è stupido considerarlo come un dato fascista, certamente c’è una componente nazionalista, ma va sottolineato il fatto che a Fiume D’Annunzio ha reintrodotto il divorzio, e non va dimenticato il suo interesse per il contenuto della Carta del Carnaro di Alceste De Ambris, ricordando che i diritti sociali non valgono meno dei pur necessari diritti civili».

Di tutt’altro tenore il pensiero di Rumiz. «Pochi uomini sono stati odiati dal fante italiano più di D’Annunzio - evidenzia -. Il povero Randaccio fu mandato da D’Annunzio a compiere un’azione suicida verso il castello di Duino. Randaccio morì, e lui ci ricamò su uno dei suoi elzeviri. Premesso che mi piace come poeta, quello che ha fatto in guerra è detestabile. L’Italia - prosegue - lo ha reclutato mentre era a Parigi sommerso dai debiti di gioco, e ne ha fatto il vate della nazione. Lui entrava direttamente negli uffici di Cadorna, mentre Cesare Battisti che tentava di spiegare al Generalissimo l’imminenza della Strafexpedition, dopo giorni di attesa dovette tornarsene a casa perché il Generale non aveva tempo per il soldato Battisti. Credo che uomini come Nazario Sauro e Battisti - conclude Rumiz - a cui abbiamo dedicato scuole e vie, si rigireranno nella tomba di fronte alla presenza di quella statua». Sulla stessa linea lo scrittore Veit Heinichen «Che senso ha? A che futuro porta il nostalgismo? », si limita a chiedersi il giallista tedesco.

Si affida all’ironia invece l’attrice Ariella Reggio. «Non ho nulla contro D’Annunzio, è un grande poeta, ma non capisco perché dedicargli una statua a Trieste: non ne sentivo la mancanza». Ma poi, alla fine, lei un nesso con la nostra città lo trova. «Mi ricorda “Due paia di calze di seta di Vienna” , la commedia di Carpinteri e Faraguna, dove Nicoleto Nicolich viene a conoscenza che a Fiume si può divorziare, grazie all’impresa di D’Annunzio, e così ritorna libero e si risposa con il suo nuovo amore».

«A me la statua va benissimo, sono favorevole. Basta che venga fatta entro 100 giorni», sostiene sarcastico Stefano Dongetti, comico e autore del Pupkin Kabarett. «Però - precisa - c’è da dire che anche Mohammed Alì ha fatto tanto per la nostra città. E pure Nando Orfei. E anche l’astronauta John Armstrong starebbe bene seduto in piazza della Borsa. È difficile sceglierne uno solo. Si potrebbe fare una platea di sedie tipo cinema per non lasciare fuori nessuno». Gli fa eco l’altra anima del Pupkin, Alessandro Mizzi. «Dopo Svevo, Saba e Joyce non si possono ammettere altre statue in bronzo di personaggi che con Trieste hanno avuto poco a che fare. Se proprio la devono mettere, la sistemino in viale D’Annunzio. Ma a Trieste fan sempre così: anche la statua di Verdi non è in piazza Verdi ma in piazza San Giovanni». —




 

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