Guerra tra ex An: «Sparito anche il busto di Mussolini»
Attorno all’eredità dell’ex Movimento sociale e di Alleanza Nazionale si è aperta anche a Trieste una battaglia a suon di carte bollate tra finiani e pidiellini.
Dall’ex sede di An in piazza Goldoni sono stati prelevati gli archivi storico e fotografico, un registro con quattromila nomi di infoibati, le liste degli iscritti, i labari dell’Msi e gran parte della biblioteca. E poi ricordi, cimeli e perfino un pesante busto in bronzo di Mussolini, conservati in una stanza che chi ha fatto parte del Msi non ha mai esitato a definire “sacrario”. Questa, almeno, è la denuncia di Roberto Menia, deputato del Fli (e prima del Pdl e di An) con trascorsi nel Fronte della gioventù. Menia, accortosi dell’accaduto, ha sporto il 30 dicembre scorso una denuncia contro ignoti alla Procura della Repubblica per sottrazione dei beni custoditi nell’ex sede di An.
A decidere di portare via da piazza Goldoni quei materiali è stato Piero Tononi. L’ex An oggi vice coordinatore provinciale del Pdl lo dice chiaro: «Quei beni, pur rimanendo nella piena disponibilità del soggetto giuridico titolare ovvero la Fondazione Alleanza Nazionale, si trovano a disposizione di tutti gli interessati nella sede della Fondazione Panzarasa. La necessità di provvedere alla custodia di tali beni – precisa Tononi - si è venuta a manifestare con una certa urgenza, dal momento che nell’ultimo periodo ci si era accorti dell’improvvisa sparizione di alcuni di essi».
L’appartamento che dal 1997 ospitava la sede di An oggi appare spoglio. Qualche mobile, un paio di scrivanie, sedie accatastate, linea telefonica staccata, librerie vuote. Il “sacrario” originariamente allestito per i nostalgici del Duce nella sede del Movimento sociale italiano di via San Lazzaro, poi trasferito in quella di via Palestrina e successivamente in piazza Goldoni, è stato completamente smantellato. Il citofono e la cassetta postale conservano ancora il simbolo del partito. Dai muri sono spariti gigantografie, quadri e manifesti.
«Quando a novembre sono entrato in quella sede e ho visto le porte degli armadi spalancate, i ripiani vuoti, le pareti spoglie – dice Menia – ho sentito un senso di violenza morale. I responsabili di quel gesto non hanno avuto il rispetto di una storia comune ed è difficile sostenere che io non abbia fatto parte di quella storia. Nessuno poteva arrogarsi il diritto di portare via in quel modo quei beni. Ne potevamo discutere insieme». Menia sostiene di aver pregato gli ex compagni di partito di risistemare quanto prelevato. «Ho atteso un mese – ricorda – poi ho deciso di tutelarmi in sede giudiziaria».
La sede di piazza Goldoni ha continuato a essere utilizzata fino alle scorse elezioni amministrative. Un tacito accordo permetteva a finiani e pidiellini di fruirne contemporaneamente. L’ultima riunione in programma è stata quella organizzata da Tononi il 14 giugno scorso. «Se veramente era sparito qualche cosa, e visto che dovevamo essere solo in quattro ad avere le chiavi – sostiene Menia – potevamo cambiare la serratura».
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