Gubajdulina, Leone a Venezia
di Giovanna Pastega
VENEZIA
«Io sono una persona religiosa di fede ortodossa e intendo la religione proprio come re-ligio, ricomposizione di un legame, ricomposizione del legato della vita. La vita riduce l’uomo in tanti pezzi. Egli deve ristabilire la propria integrità, la religione è questo. Non vi è ragione più seria della ricomposizione dell’integrità spirituale per comporre musica». Così Sofjia Gubajdulina, la grande compositrice russa avversata dal regime comunista per la sua libertà nel comporre, definiva la propria vocazione musicale nel 1990 alle soglie della dissoluzione dell’Unione Sovietica. E proprio la musica come strumento maieutico capace di rigenerare l’unità dello spirito ed essere al contempo atto di devozione e legame assoluto con l’anima dell’universo, è stata il filo rosso della lunga conversazione che la celebre musicista ha intrecciato con il pubblico ieri pomeriggio a Venezia nel corso di un incontro organizzato dalla Biennale Musica. L’arrivo in laguna di Sofjia Gubajdulia sarà coronato questa sera dalla consegna del Leone d’oro alla carriera e dall’esecuzione di uno dei suoi brani più celebri, “Glorius Percussion”, nel corso del Concerto inaugurale del Festival Internazionale di Musica Contemporanea.
«Se la mia musica ha vinto sulla mancanza di libertà che dominava il mio paese – ha raccontato la compositrice – è solo grazie agli esecutori che hanno scoperto e amato le mie composizioni. La loro dedizione assoluta ha restituito vita e libertà alla mia musica». Incalzata dalle domande del pubblico Sofija Gubaidulina ha sottolineato come oggi l’artista di fronte alla globalizzazione del sapere e all’ipertrofismo della conoscenza sia chiamato a nutrirsi ancora più profondamente della propria spiritualità per ricreare un giusto equilibrio tra lo spazio sconfinato del mondo e quello della propria anima.
Tra gli incontri fondamentali per il suo orizzonte creativo l’artista ha ricordato quello con Luigi Nono, conosciuto al termine di un concerto a Berlino e di cui subito senza neanche bisogno di parole sentì la fratellanza artistica.
«Mi sono spesso chiesta nella mia vita – ha raccontato - perché dovevo comporre musica se nel mondo erano state scritte partiture così belle da essere ineguagliabili. Poi ho compreso che dovevo smettere di farmi questa domanda e semplicemente vivere la musica, sentirla dentro di me. Ora quando compongo dimentico tutto, non esiste più nulla e nessuno, mi trovo in un campo in cui ci sono molti fiori e alberi meravigliosi, tutto il mondo risuona e anch’io risuono. In quel momento ho la sensazione di essere salita sulla sommità di una scala dove non c’è più nulla, solo io, quello che sento e il mio suono».
Alla domanda come sia nata in lei la passione per la musica, la compositrice russa ha risposto spiazzando tutti: «È stata mia sorella, i momenti, le emozioni vissute con lei a cinque anni quando insieme improvvisavamo con un fortepiano musiche meravigliose da noi inventate a regalarmi l’ispirazione che mi ha accompagnato tutta la vita».
Ma quale è stata la vita di Sofjia Gubajdulina? Nata da madre slava e padre tartaro in una regione alla “periferia” dell’Unione sovietica, abbraccia la fede cristiana giovanissima nonostante le origini mussulmane della sua famiglia; ma è un maestro ebreo a trasmetterle l’amore per la musica. In un contesto in cui ogni culto è proibito e il materialismo scientifico è dogma Sofija coltiva la sua fede con determinazione e si oppone al sistema. La sua è una sfida innanzitutto esistenziale. Per questo la isolano. Per sopravvivere si dedica alle colonne sonore, fonda un gruppo di improvvisazione collettiva con strumenti folk (il bayan soprattutto) e melodie caucasiche. Riesce tra mille difficoltà a tenersi in contatto col mondo facendo eseguire alcuni suoi brani all’estero, anche al Festival di Venezia. Per questo finisce nella così detta lista nera di Khrennikov, il potente capo dell’Unione dei compositori che la segnala insieme ad altri musicisti tra gli oppositori al regime. Tutte le porte da quel momento le vengono sbarrate: niente più esecuzioni nè pubblicazioni in tutto il paese. Nonostante le mille difficoltà trova sulla sua strada grandi estimatori che la sostengono nei momenti difficili, primo fra tutti Dmitrij Šostakovic, suo commissario d’esame al Conservatorio di Mosca che, riconoscendo in lei un talento autentico, la difende a spada tratta dalle critiche degli altri professori. Nel 1980 finalmente una svolta: Gidon Kremer la rivela alle platee internazionali, presentando quello che può essere considerato il suo capolavoro, “Offertorium”. Con l’arrivo di Gorbaciov Sofjia varca i confini e riesce a farsi conoscere sempre di più all’estero. Gli anni ‘90 segnano la sua consacrazione come compositrice, ma la caduta di Gorbaciov e la confusione che ne segue la spingono a lasciare definitivamente il suo paese e a trasferirsi in Germania, dove ancora attualmente vive e compone la sua musica.
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