Grado, mistero sui 300 chili di tritolo scomparsi. Ora è la Procura a scendere in campo

GRADO. Interviene la Procura sui 300 chili di tritolo spariti dal fondo fangoso, a 4 miglia al largo di Grado. Panetti diventati “fantasma” con tutto il loro «pericolo potenziale». Il bidone nel quale erano stati depositati sembra volatilizzato, nonostante la scrupolosa perlustrazione degli specialisti dello Sdai (Servizio Difesa anti mezzi insidiosi), che sabato mattina pronti per l’operazione-brillamento, hanno dovuto arrendersi all’evidenza. In quel punto è stata invece individuata una semplice e anonima àncora. Ricerche sospese. E ora dunque si muove la Procura. Ieri è giunta la comunicazione. La dottoressa Valentina Bossi, facente funzioni di procuratore capo l’ha definita «scarsa». Comunque insufficiente, considerata la portata dell’evento. Il magistrato, l’aria di chi attende ben altro al fine di comprendere la situazione, ha chiarito: «La Procura a questo punto vorrà approfondire».
Insomma si andrà a fondo della vicenda, tanto paradossale da essere al momento oggetto di un susseguirsi di ipotesi. Nessuno tuttavia si sbilancia su quanto possa essere accaduto. La ricostruzione più probabile pare possa essere il passaggio, comunque severamente vietato in virtù dell’ordinanza emessa dalla Capitaneria di porto, di un’imbarcazione per la pesca a strascico, peraltro interdetta in questo periodo dell’anno, che potrebbe aver “agganciato” l’esplosivo. S’è ipotizzato perfino un furto, evidentemente una supposizione inquietante.
L’unico dato di fatto resta la scomparsa del consistente quantitativo di esplosivo. «Non è da sottovalutare», ha osservato la dottoressa Bossi, determinata a scandagliare ogni aspetto. Il dragaggio era stato eseguito dagli operai della motonave Nuovo Antonio per conto della Regione, al fine di eliminare un dosso sabbioso di fronte al Porto San Vito, tra Riva Brioni e il Molo Torpediniere, non distante dall’imboccatura del canale del porto e del ponte girevole. È durante l’escavo che è affiorato, lo scorso lunedì, il reperto riconducibile alla Seconda guerra mondiale, ricoperto di alghe e scambiato di primo acchito per un grosso tronco. Una volta recuperato s’è constatato che si trattava della parte posteriore di un siluro, quella con il serbatoio. Ricalato in mare, gli artificieri dello Sdai sono giunti a Grado il giorno successivo. Che hanno individuato anche l’esplosivo, il tutto giacente a 80 metri dalla riva e a ridosso dei pontili di ormeggio delle imbarcazioni. Gli artificieri hanno proceduto alla messa in sicurezza trasferendo il materiale al largo, nella zona individuata per il brillamento. Un carico di tritolo «potenzialmente pericoloso», ha confermato la Marina Militare.
Siluro di fabbricazione tedesca in dotazione ai sommergibili, è stato inoltre ipotizzato dopo aver individuato alcune scritte coperte da incrostazioni. Quando gli artificieri sono tornati, dopo un primo tentativo di brillamento andato a vuoto in assenza delle idonee condizioni dei fondali, sabato non hanno trovato più nulla. Il sostituto procuratore Bossi ieri ha argomentato: «Succede che vengano rinvenuti ordigni bellici in mare. In questo caso però siamo di fronte a 300 chili di tritolo potenzialmente pericolosi. Sarà eseguita una serie di verifiche».
Quanto ai rischi per chi venisse a contatto con il materiale, gli esperti ricordano che il tritolo è privo di innesco: se ci fosse contatto non esploderebbe, ferma restando la sua grande pericolosità.
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