Gradisca, prima dieci coltellate poi la doccia per pulirsi

GRADISCA D’ISONZO. Una discussione. Sarebbe stata una discussione che è via via degenerata a scatenare il raptus omicida. Quello che ha visto Dritan Sulollari uccidere a coltellate la moglie Migena Kellezi, mercoledì mattina, nell’appartamento di Gradisca d’Isonzo di via della Campagnola dove la coppia viveva con il figlio di 8 anni. Come ha ricordato il procuratore capo del Tribunale di Gorizia, Massimo Lia, l’uomo, reo confesso, ha ammesso le proprie responsabilità di fronte al pubblico ministero Laura Collini e ai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Gorizia, facendo cadere definitivamente l’ipotesi della legittima difesa.
Assistito dall’avvocato Paolo Bevilacqua il cameriere trentasettenne è stato sentito nel pomeriggio di ieri e questa mattina a mezzogiorno comparirà davanti al gip per l’udienza di convalida del fermo.
La lite che ha scatenato la furia omicida è cominciata nel soggiorno dell’appartamento al piano terra della palazzina di via della Campagnola 21. Per quanto collaborativo, Sulollari non è stato in grado di spiegare le cause del diverbio. La coppia si stava separando e probabilmente la discussione ha riguardato l’educazione e l’affidamento del figlio. L’uxoricida ricorda il prima e il dopo.
In mezzo il buio. In attesa dei riscontri dell’autopsia commissionata al medico legale Carlo Moreschi di Udine, i carabinieri al comando del tenente colonnello Pasquale Starace hanno ricostruito gli eventi a partire dagli indizi raccolti sulla scena del crimine. Secondo le prime analisi, l’uomo ha preso dal tavolo un coltello a seghetto, di quelli per il pane, e ha cominciato a brandirlo nell’aria contro la moglie. Nel tentativo di sottrarsi alla furia del marito, la donna ha cercato di parare i colpi con le braccia e si è ritirata nella camera da letto matrimoniale. Lui l’ha seguita e lì, con un colpo di taglio alla gola, le ha procurato la ferita che, molto probabilmente, è stata quella fatale. Nella colluttazione, Sulollari si è a sua volta ferito recidendosi il tendine di un mignolo.
Compresa immediatamente la gravità del gesto, l’uomo si è risvegliato dal trance. Per prima cosa, per impedire al figlio di vedere la madre riversa in un bagno di sangue sul letto, ha chiuso a chiave la porta dalla camera del bambino. Dopo essersi lavato, medicato e vestito, ha chiamato l’amico carabiniere dicendogli quanto era accaduto. Sulollari non ha opposto resistenza e ha collaborato fin dall’inizio. Dopo essere stato sottoposto a un intervento chirurgico alla mano, è comparso davanti agli investigatori già mercoledì sera. L’interrogatorio è proseguito poi ieri pomeriggio.
Sarà evidentemente l’autopsia, prevista per domani, a chiarire le esatte modalità e cause del decesso della giovane donna. Ma l’avvocato difensore Bevilacqua parte proprio dal numero delle ferite per sostenere la necessità di andare a fondo sullo stato emotivo dell’uomo nel momento in cui si sarebbe armato di coltello e avrebbe agito.
«Considerato che ci troviamo di fronte a un fatto confessato e acclarato – ha osservato il legale –, credo che l’interesse sia quello di comprendere le ragioni alla base di una reazione che può trovare fondamento e radice in una situazione psicologica particolare. Uno stato interiore che può aver portato l’uomo a vivere un periodo della propria vita in una condizione fragile. Una depressione che va ricercata nell’oggettiva difficoltà a trovare lavoro e quindi a sentirsi per così dire poco considerato pur evidenziando che Sulollari ha sempre assecondato ogni esigenza domestica e sempre accudito il figlio in tutti i suoi aspetti».
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