Gorizia traina il voto in regione, Trieste seconda
TRIESTE. La prima mezz’ora di proiezioni, dalla chiusura dei seggi delle 23, raccontava di un Friuli Venezia Giulia un po’ più ligio al dovere del voto, che poi sarebbe un diritto, del resto d’Italia. E di conseguenza, in questo caso, un pelo meno devoto alla voce del premier - qui incarnata dalla governatrice della Regione Debora Serracchiani - che aveva suggerito di dedicarsi ad altro. I dati della notte, in realtà, hanno detto che, per lo meno in fatto di partecipazione al referendum di ieri, siamo lo specchio del Paese. L’affluenza in Friuli Venezia Giulia è risultata essere, alla fine, in linea con la media nazionale, con un 32,16% regionale a riflettere il 32,15% italiano quando mancavano all’appello solo otto comuni su ottomila. Diversa invece la spalmatura dei “sì”, che verso l’una - a scrutini in corso - dava gli anti-trivelle in regione sull’82% contro un 80% nazionale o giù di lì.
A dare una spinta all’affluenza qui è stato l’Isontino: Gorizia è stata tra la provincia in cui si è registrata l’affluenza più elevata (36,52%) seguita a distanza da Trieste (32,55%). Terza Pordenone con il 32% secco, ultima Udine con il 30,94%. I “sì” in regione sono stati trainati invece da Trieste, dove i risultati quasi definitivi della notte davano gli anti-trivelle oltre l’85%, a dismostrazione che chi sul mare ci vive ha un approccio più sensibile. Tant’è, è un picco che vale solo per le statistiche, il quorum è rimasto lontano.
«L’esito della consultazione conferma che la maggioranza assoluta degli italiani non ha “sentito” il quesito, o perché troppo specialistico o perché troppo poco influente. È una situazione di cui il Pd aveva consapevolezza e su cui ha preso posizione», il primo commento di Serracchiani. «Quando i cittadini sono stati chiamati a decidere su temi chiari e direttamente efficaci - ancora la vicesegretaria “dem” - la risposta è stata diversa. Oggi, evidentemente, non si è verificato l’incontro tra lo strumento del referendum popolare e il corpo elettorale», tanto che «l’esito del voto non avrà conseguenze su alcun piano, anche se le opposizioni se lo auguravano».
«L’esito di questo referendum non c’entra nulla con la disaffezione al voto», l’eco del capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato: «Era un referendum inutile e gli italiani lo hanno percepito, optando quindi per il non voto. Che, lo ricordo, è un’opzione più che legittima se è vero che il raggiungimento o meno del quorum è regolamentato dalla nostra Costituzione». Il rovescio della medaglia democratica, intesa come Pd, sta nelle parole post-risultato del senatore pordenonese Lodovico Sonego, che si era esposto per il “no”: «L’esito coincide con le previsioni, sulle quali ha influito sia la campagna astensionistica sia il fatto che gli elettori non hanno riteuto rilevante il quesito.
Confermo ad ogni modo che le campagne astensionistiche sono sbagliate ma invito anche i “volonterosi” dei referendum ad essere più responsabili e lungimiranti nel chiamare i cittadini alle urne con grande impiego di spesa pubblica per materie di discutibile rilevanza». Un invito a pensarci bene, ma alle istituzioni, viene ora anche dalla deputata e coordinatrice regionale di Fi Sandra Savino: «È giusto fare una riflessione più ampia che non sia strettamente legata al tema proposto in questo referendum. L’astensione è costituzionalmente prevista, ma la politica dovrebbe invitare i cittadini ad andare alle urne anche in queste occasioni. Penso che i messaggi arrivati la scorsa settimana siano messaggi negativi in particolare se inviati dalla più alte cariche dello Stato». Al fronte del “sì” dispiace, anche se era nell’aria: «Non ha aiutato il fatto che il Pd abbia promosso l’astensione, noi ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile, ma qui ormai si è deciso, quel petrolio deve uscire fino all’ultima goccia, e prima o poi la natura ci chiederà il conto di questo», il monito della consigliera regionale Cinquestelle Ilaria Dal Zovo.
«Con un esito del genere - la chiosa del capogruppo a Montecitorio della Lega Massimiliano Fedriga - la vedo brutta, per il premier. Considerando che di norma va a votare grosso modo il 60%, Renzi sposta ormai più o meno il 20%, ha in pratica dimezzato il consenso delle europe. Certo va chiarito che era un referendum e come tale va analizzato, credo però che anche Renzi e qualche altro suo sodale servitore si interroghino ora in vista delle amministrative e del referendum costituzionale di ottobre. Se sono sono questi i presupposti, in autunno mi auguro che lui sia coerente con l’impegno preso e se ne vada».
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