Gorizia: tangenti dalle badanti, impiegata condannata

Stefania Atti, all’epoca contrattista all’ufficio lavoro della Provincia a Monfalcone, colpevole per induzione indebita e calunnia
Una badante mentre porta a passeggio un anziano
Una badante mentre porta a passeggio un anziano

GORIZIA Due anni e due mesi di reclusione per il reato di induzione indebita, un anno e quattro mesi di reclusione per calunnia, interdizione dai pubblici uffici per due anni e due mesi, risarcimento danni alle tre parti civili da stabilire in sede civile (richiesta 10mila euro a testa) e pagamento delle spese processuali.

Dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio così ha deciso ieri sera il Tribunale di Gorizia in sede collegiale (presidente Bonasia, a latere Rozze e Ferretti) sul processo del cosiddetto racket-badanti che vedeva imputata Stefania Atti.

Due i capi d’accusa nei confronti dell’ex dipendente (progetto a termine) dell’Ufficio del lavoro della Provincia, sportello badanti di Monfalcone. Il primo capo d’imputazione riguardava la concussione ma nella discussione la pm Laura Collini ha proposto ai giudici di riqualificare il delitto in induzione indebita.

È stato precisato che Stefania Atti non incarnava la figura di pubblico ufficiale ma di’incaricato di pubblico servizio. La seconda accusa riguardava il delitto di calunnia nei confronti di tre (le parti civili) della ventina di badanti rumene, alle quali Stefania Atti avrebbe chiesto e ottenuto soldi per trovare loro lavoro nel Monfalconese.

Si conclude così il primo grado del processo figlio dell’indagine avviata dalla Procura di Gorizia nella primavera del 2011 e affidata alla Guardia di finanza di Monfalcone. In precedenza aveva patteggiato la pena una badante, anch’essa rumena, ritenuta sostanzialmente la complice di Atti. Era colei che avrebbe reclutato le rumene da avviare al lavoro di assistenza domiciliare.

Molto articolata la discussione. La pm Collini ha chiesto la condanna di Atti a due anni e cinque mesi di reclusione per l’induzione e a un anno e sei mesi per la calunnia. Collini ha affermato che è stato provato in dibattimento quanto emerso dalle indagini: «Se le badanti volevano lavorare dovevano pagare Atti ottenendo in tal modo un beneficio».

La pm hai poi puntualizzato che Atti non ha mai spiegato in modo convincente il suo rapporto con la badante “complice” e ha effettuato una ricostruzione puntigliosa di tutti gli episodi di pagamento di denaro delle aspiranti badanti ad Atti e alla “complice”.

Ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste invece il difensore di Atti, avvocato Antonio Montanari. Egli ha parlato di processo indiziario, di assenza di osservazione diretta delle dazioni di denaro, di inesistenza di materiale sequestrato. «La verità - ha detto Montanari - è che il zelo e la professionalità con cui ha operato la mia assistita ha evidentemente pestato i piedi a qualcuno. Lei compilava scrupolosamente le schede delle aspiranti badanti con l’unico scopo di mettere a disposizione degli anziani del Monfalconese personale all’altezza del compito».

L’avvocato delle parti civili, Sascha Kristancic, ha chiesto un risarcimento danni di 10mila euro a testa per le sue tre assistite, oggetto di calunnia da parte di Atti. «Questa sentenza dimostra e conferma l’estraneità ai fatti delle mie assistite accusate in modo infondato dalla signora Atti».

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