Gorizia “scopre” i primi clochard
Ce ne sono tre “censiti”. Ma ci sono altre situazioni che sfuggono ai radar dei servizi sociali perché la dignità delle persone coinvolte sta sopra ad ogni cosa: preferiscono stare zitti e non segnalare le loro situazioni di difficoltà conclamata.
Anche Gorizia ha i suoi barboni. Più o meno invisibili. Uno dorme al Pronto soccorso o dove capita. Un altro ha trasformato i locali che ospitano lo sportello di un bancomat nella sua camera da letto. Un terzo clochard si muove con la carrozzina e, di volta in volta, sceglie una tettoia dell’autobus per dormire. Ha difficoltà di deambulazione e questo rende ancor più difficile la sua quotidianità.
Situazioni estreme. Situazioni che a Gorizia, città tradizionalmente ai vertici delle classifiche sulla qualità della vita negli anni passati, mai si erano viste prime. Eppure, Gorizia non si sottrae alla regola. Anche qui, il disagio sociale inizia a lasciare il segno.
«Ma in alcuni casi si tratta di vicende che sono determinate da libere scelte», spiega l’assessore comunale al Welfare, Silvana Romano. Secondo l’osservatorio del suo assessorato, dicevamo, in questo momento sono tre i barboni che dormono all’addiaccio. Nonostante le temperature rigide. «E si tratta di casi tutti ben noti agli assistenti sociali», aggiunge Romano.
Uno dei tre clochard è conosciuto, ormai, in mezza città. Si tratta di un giovane che si muove in bicicletta, con pesanti borse che contengono giubbotti, pantaloni, effetti personali, viveri. Nel passato ha dormito un po’ dove capitava, anche sotto il porticato della chiesa dei frati Cappuccini. Poi, il suo peregrinare ha toccato la vecchia sala d’attesa degli autobus davanti al vecchio ospedale civile, diverse panchine, altri rifugi di fortuna fra Corso Italia, Sant’Anna, via Fatebenefratelli. L’ultimo avvistamento all’esterno di un noto supermercato di via Terza Armata a posizionare i carrelli della spesa, sperando di ottenere un euro dai clienti come ricompensa. «Situazione nota. Il ragazzo ha una famiglia, una pensione, una casa dell’Ater. Abbiamo cercato di aiutarlo ma lui vuole vivere così», spiega l’assessore Romano. Poi, da qualche tempo, ha fatto la sua comparsa qui un cittadino straniero, un iraniano. Si muove con l’ausilio di una sedia a rotelle e dorme un po’ dove capita. «Anche in questo caso - spiega l’assessore comunale al Welfare - abbiamo cercato di aiutarlo ma non c’è stato verso. Ha con sè un sacco a pelo, non vuole nulla, lui vuole vivere così, si sente libero così». Poi, c’è un anziano che si aggira, nelle ore serali e notturne, nella sala d’attesa del Pronto soccorso del San Giovanni di Dio. Grazie a qualche monetina, riesce ad acquistare un bicchierino di caffè alla macchinetta, si siede e approfitta di quella stanza calda per prendere sonno.
«Ci sono persone - continua l’assessore - che, pur essendo più volte state avvicinate per essere inserite in strutture assistenziali, si sono sempre rifiutate di farlo perché preferiscono arrangiarsi da soli con mezzi di fortuna anche per dormire. Questo può essere accettabile quando le temperature sono miti ma non con questo freddo».
Da qui la decisione, qualche tempo fa, di mettere a disposizione di chi ne avesse bisogno alcuni posti-letto della casa di riposo: «Avrebbero potuto dormire senza troppi convenevoli - spiega ancora l’assessore - ma nessuno ha sfruttato questa possibilità. Quando il freddo era davvero pungente, nessuno si è rivolto alla casa di riposo. Pensavamo che chiunque avesse difficoltà di carattere assistenziale e sociale derivante dal forte abbassamento delle temperature si rivolgesse senza timore ai servizi sociali del Comune. Ma così non è stato».
La Romano chiude rispondendo al primario del Pronto soccorso, Alfredo Barillari. «Ha sostenuto che l’astanteria è costretta a farsi carico di situazioni di indigenza ed isolamento sociale che non trovano una pronta risposta sul territorio? Credo che, in molti casi, proprio queste persone siano seguite anche dal Sert e dal Csm, strutture sanitarie e non assistenziali. Il Pronto soccorso dovrebbe rivolgersi a quei servizi per chiedere il perché, senza puntare il dito sul Comune. Ma, forse, sono io a sbagliare».
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