Gorizia, profughi nelle canoniche e al San Giuseppe
GORIZIA Canoniche inutilizzate (ma ancora non individuate con precisione). E il centro San Giuseppe.
Così l’Arcidiocesi di Gorizia “tradurrà” in atti concreti l’appello all’accoglienza ai migranti formulato dal Santo Padre. In città e in provincia non siamo affatto all’anno zero: il Nazareno ospita oggi una novantina di richiedenti-asilo e il dormitorio Faidutti offre un letto a un numero variabile dai 35 ai 40, senza contare il lavoro svolto dai frati Cappuccini con la mensa, la distribuzione della cena nella parrocchia della Madonnina e l’apporto concreto delle Parrocchie dei Santi Ilario e Taziano, di Sant’Adalberto a Cormòns, di Santa Maria Annunziata di Romans, dei Santi Pietro e Paolo di Staranzano e di quella di Fiumicello.
«Facciamo già parecchio - le parole dell’arcivescovo Carlo Maeia Redaelli - ma faremo ancora di più. Metteremo a disposizione alcune canoniche ma non le gestiremo noi: le offriremo alla Prefettura. Noi garantiremo accoglienza e animazione. Ho chiesto a un sacerdote (don Giulio Boldrin) di frequentare un corso di islamistica al Pisai, il Pontificio istituto di studi arabi e islamistica per avere un dialogo più stretto con i migranti. Per alcune necessità potrebbe essere utilizzato anche il Contavalle».
L’occasione per parlare di immigrazione è venuta dalla conferenza stampa convocata dalla stessa Arcidiocesi per illustrare la Lettera pastorale 2015/2016 intitolata “Chi è il cristiano” che è incardinata sul Vangelo di Luca e sul valore della misericordia. Redaelli ha, quindi, ufficializzato un’ipotesi che circolava da tempo e che sembrava aver perso repentinamente quota dopo le parole del parroco di San Rocco, monsignor Ruggero Dipiazza. «L’idea è di riutilizzare il centro San Giuseppe che già parecchi anni fa ospitò immigrati. Indubbiamente - le parole dell’arcivescovo - la struttura è molto ammalorata ma riteniamo che un recupero di minima si possa effettuare. Procederemo con lo sgombero del vecchio materiale contenuto all’interno, effettueremo una veloce sistemazione e un’opera di derattizzazione. L’idea è di utilizzare la struttura all’occorrenza: non possiamo pensare di lasciare queste persone in riva all’Isonzo o all’addiaccio in altre zone della città per tutto l’inverno». L’intervento, comunque, non sarà immediato e non coinciderà con la messa a norma dell’intero stabile perché occorrerebbero tante risorse che, in questo momento, non ci sono.
Sollecitato dai cronisti, l’arciverscovo è intervenuto anche sulla controversa questione-San Luigi. Ha confermato che i salesiani hanno venduto la struttura «ma non sono stato minimamente informato sull’eventualità che il convitto si possa trasformare in un centro d’accoglienza per immigrati».
Altro concetto cardine: tutte le opere e i servizi della Caritas diocesana e di quelle parrocchiali, nonché di istituti religiosi e di altre organizzazioni cattoliche, ascoltano, accompagnano, sostengono «tutte le persone in difficoltà sia italiane che straniere, senza alcuna distinzione. Ci sono però dei progetti e dei servizi - le parole di Redaelli - che sono specifici per i migranti e in particolare per i richiedenti-asilo e titolari di protezione internazionale (rifugiati, titolari di protezione sussidiaria e umanitaria) perché, in genere, sono una categoria più fragile rispetto agli altri cittadini stranieri». Accanto a ciò, la Caritas diocesana sta lavorando per sensibilizzare le comunità cristiane e le amministrazioni comunale ad attivare progetti di accoglienza diffusa sul territorio.
«Il problema dei profughi è complesso - le parole dell’Arcivescovo -. La preoccupazione non deve essere: speriamo che non passino di qui. Dobbiamo sperare che l’Europa sappia affrontare responsabilmente questa emergenza».
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