Gorizia-Nova Gorica, «sanità transfrontaliera all’anno zero»
La sanità transfrontaliera nel Goriziano è all’anno zero. Se ne parla da decenni ma ancora oggi - pur in presenza dell’entrata in vigore della Direttiva europea sul diritto dei pazienti di curarsi dove vogliono all’interno dell’Ue - è aria fritta. Ci sono svariati motivi per dolersi di tale situazione. Il più significativo dei quali è che nel Goriziano si arriva perfino al punto di ignorare le sollecitazioni di un ministro della Repubbica - quello alla Salute, Beatrice Lorenzin - giunta proprio a Gorizia per spronare chi di dovere a rendere operativa la sanità transfrontaliera nell’interesse dei pazienti.
Invece il confine ideologico che separa Gorizia da Nova Gorica è più forte di ogni sollecitazione. Ma le responsabilità non sono solo italiane. Anzi. Lo ammette con onestà Marco Gergolet, direttore sanitario dell’ospedale civile di Nova Gorica-Šempeter: «Potremmo e dovremmo fare molto di più - spiega il medico italiano che dal 2001 lavora nell’ospedale sloveno il cui direttore generale è Darko Žiberna - ma devo ammettere che in Slovenia non sono tanto interessati all’argomento. Abbiamo bisogno di uno slancio, ma soprattutto di cominciare a ragionare assieme lasciando fuori dall’ordine del giorno il tema del reparto di maternità, altrimenti ci areniamo subito».
Gergolet non utilizza il termine punto nascita, freddo e burocratico, preferendo il caldo e collaudato maternità.
Di parti a Šempeter ne avvengono ogni anno circa 900, un terzo dei quali con il taglio cesareo. A una paziente italiana il parto normale costerebbe 600 euro, il cesareo 1200. «Sono poche le donne italiane che partoriscono da noi - spiega Gergolet - . Verrebbero volentieri ma, per quanto riguarda quelle dei territori italiani più vicini, non riescono a ottenere la coperturqa finanziaria dall’Ass di provenienza».
Una strada che in poco tempo porterebbe allo sviluppo di un embrione di collaborazione transfrontaliera c’è. Basterebbe mutuare la politica di scambio economico in voga ai tempi della Jugoslavia: la compensazione.
Gergolet: «Faccio un esempio: noi assicuriamo all’Ass isontina 100 interventi di appendicite all’anno e in cambio chiediamo l’equivalente, in euro, di determinati interventi effettuati a Gorizia o a Monfalcone. Il vantaggio, a costo zero, è utilizzare al meglio strumenti e personale e soprattutto abbattere le liste d’attesa».
Šempeter, al contrario degli ospedali isontini, effettua regolarmente il non semplice esame della coronarografia. Di qui un’altra idea: creare tra i tre ospedali presidi operativi 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno, organizzando le coperture secondo un calendario concordato. Sono soluzioni in apparenza semplici che presuppongono però la volontà delle parti di sedersi attorno a un tavolo. Dal confronto non potrebbe che migliorare la qualità dei servizi sanitari offerti all’utenza. Tanto che Gergolet individua senza dubbio un’eccellenza della sanità isontina italiana: l’assistenza domiciliare: «La vostra organizzazione ed efficienza è invidiabile. Abbiamo tutto da imparare. Altri obiettivi che riteniamo di dover raggiungere al più presto sono l’abbattimento delle degenze in pediatria e l’aumento della produttività».
Si torna al punto di partenza. Se la direttiva europea non viene completata nell’operatività e come se non ci fosse. E due ospedali che potrebbero interfacciarsi in modo molto incisivo continuano ad operare, è il caso di dire, come se l’altro non ci fosse.
Eppure perfino ai tempi della Jugoslavia, bravi chirurghi sloveni, soltanto per l’amore della propria professione, venivano clandestinamente e nottetempo all’ospedale di Gorizia a riattaccare dita e mani. Senza chiedere alcun compenso, senza domandarsi la nazionalità del paziente.
«Già - scherza Gergolet - una mia paziente italiana, visto che dovrebbe pagarsi il parto a Šempeter, mi ha chiesto un consiglio su dove partorire. Le ho ricordato che anche a Palmanova sono bravi. E lei mi ha risposto: scherza dottore, mica mio figlio nascerà furlan...».
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